Noi diamo per scontato, ogni volta che leggiamo o ascoltiamo qualcosa che riguarda la politica, che la nostra sia una democrazia matura, che da noi ci sia veramente il pluralismo ed il rispetto per tutte le opinioni, e marchiamo sdegnosamente la differenza che distinguerebbe il nostro Paese, membro della NATO e dell’Europa di Bruxelles, dai paesi cosiddetti “totalitari” come la Russia, la Cina o altri. Eppure, se focalizziamo l’attenzione sull’informazione televisiva che abbiamo, o anche su quella della carta stampata, ci accorgiamo che la propaganda in atto in Italia non è molto diversa da quella di Putin o di altri dittatori del suo calibro. Non ci vuol molto ad accorgersi che da noi l’informazione è pilotata dal potere politico e che si svolge a senso unico: esiste cioè, in pratica, una sola linea interpretativa dei fatti che tutti siamo indotti (con le buone o con le cattive) a seguire. E’ un pensiero unico che viene dall’alto e che s’impone attraverso tutti i canali televisivi (pubblici o privati) e tutte le principali testate giornalistiche, un pensiero che viene ripetutamente gettato sulle nostre teste, con un martellamento continuo a cui non è possibile sottrarsi, a meno che qualcuno non decida di spegnere per sempre la TV, non leggere mai i giornali e non entrare mai nei social come Facebook. Ma rispettare queste regole è difficile, specie in una società moderna dove a tutti piacerebbe essere informati imparzialmente.
L’ultimo caso di pensiero unico riguarda la guerra Russia-Ucraina, sulla quale siamo bombardati tutti i giorni con un lavaggio del cervello che occupa almeno due terzi di ogni telegiornale. Sull’evento c’è ormai, da parte di tutte le fonti d’informazione, una visione unica che è quello di Biden, dell’Europa dei burocrati di Bruxelles e del nostro Draghi, cagnolino fedele e sottomesso ai diktat degli USA e dei signori citati prima. Secondo questa versione Putin è un criminale, un assassino che ha invaso un paese libero e per questo va condannato senza se e senza ma, anche adottando provvedimenti assurdi e stupidi come le sanzioni internazionali, che faranno molti più danni a noi che alla Russia. E nonostante che questa sia una verità evidente a tutti (abbiamo bisogno del gas russo e delle materie prime, altrimenti la nostra economia si blocca), Draghi e gli altri fedeli servitori dei Biden e compagnia continuano con questa follia delle sanzioni, al fine soprattutto di favorire l’alleato americano che guadagnerà alle nostre spalle vendendoci il suo gas ed il suo petrolio a prezzi superiori a quelli pagati a Putin. Altrettanto folle è la logica della armi date all’Ucraina, che serviranno solo a prolungare il conflitto e a far compiere altre stragi e altre atrocità. Se l’Europa avesse avuto veramente la volontà di far cessare il conflitto avrebbe dovuto restare neutrale, assistere i profughi e muoversi soprattutto sul piano diplomatico, senza prendere una posizione così netta solo per compiacere l’alleato americano, che in tutto ciò coltiva soprattutto i propri interessi politici ed economici.
Eppure, una posizione così netta assunta dall’Europa, alla quale Draghi si è allineato passivamente, non ammette repliche, non ammette contraddittorio. Chiunque si azzardi a dissentire da questa follia viene immediatamente etichettato come “putiniano” e pubblicamente sbeffeggiato ed emarginato. E’ successo a tutti coloro che hanno cercato in TV di indagare sulle cause del conflitto senza accettare come tanti burattini la versione ufficiale trasmessa dalla propaganda di regime; lo stesso è accaduto a chi ha messo in luce l’ambiguo comportamento degli USA e della NATO, che dopo la fine dell’Unione Sovietica avrebbe addirittura dovuto sciogliersi o almeno ritirarsi, non continuare ad avanzare verso est minacciando di porre missili atomici a poche centinaia di chilometri da Mosca. C’è stato chi ha ricordato la crisi di Cuba del 1963, quando i sovietici posero i missili a poca distanza da New York e furono poi costretti a rimuoverli; perché invece alla NATO dovrebbe essere consentito ciò che fu negato allora ai russi?
Gli argomenti per opporsi al pensiero unico ufficiale, senza tuttavia giustificare l’aggressione russa all’Ucraina, sarebbero molti, ma pochi si azzardano a parlare in un Paese dove si accetta una sola versione dei fatti: chi vi si oppone, qui da noi, fa poca strada, ma viene immediatamente tacitato e poi cacciato e messo nel ghetto dei “putiniani”, quando invece chi trova anche altre responsabilità nel conflitto non vuole affatto giustificare Putin ma semplicemente cercare di vedere al di là del muro ideologico che i nostri mass-media pilotati dal regime vogliono metterci di fronte agli occhi.
Certo, è vero che in Italia gli oppositori non subiscono conseguenze fisiche, non vengono avvelenati né messi in prigione per aver contestato il regime; ma subiscono ugualmente una censura strisciante e corrosiva che finisce per metterli a tacere. Il sistema usa contro di loro l’arma dello scherno e dell’emarginazione ideologica, una sorta di “confino” da cui non escono più. Così è avvenuto per qualsiasi circostanza in cui vi sia stata un’opposizione al pensiero unico del “politicamente corretto”, altra infelice imposizione di origine americana. Gli esempi non sono difficili da indicare: coloro che si opponevano al modo in cui lo sciagurato governo Conte 2 ha affrontato l’epidemia di Covid sono stati bollati come “negazionisti”, quando a nessuno veniva in mente di negare l’esistenza del virus; coloro che non si sono vaccinati hanno subito un’infamante gogna mediatica che è durata mesi e che ha ottenuto l’effetto contrario di quel che si proponeva; coloro che auspicano una maggiore libertà decisionale dell’Italia ed una riduzione della nostra sottomissione agli stranieri viene subito etichettato come “sovranista”. L’emarginazione del dissidente investe poi tutti coloro che mostrano perplessità di fronte alle tesi dei paladini dei cosiddetti “diritti civili”: così chiunque si azzarda a difendere la famiglia tradizionale formata da un uomo e una donna è immediatamente bollato come “omofobo”; chiunque trova il coraggio di dire che occorrerebbe porre un limite all’immigrazione clandestina, i cui effetti nefasti sono sotto gli occhi di tutti, è subito definito “razzista”; senza poi contare l’etichetta di “fascista” sempre affibbiata a chi non accetta certi falsi miti ancora in vigore oggi a 80 anni dalla fine della guerra civile italiana.
E’ vero quindi che gli oppositori in Italia non vanno in galera, ma questo non è sufficiente per poter definire la nostra una vera democrazia; non può essere tale un regime in cui viene propagandata, con un martellamento continuo, un’unica versione dei fatti, e dove chi non accetta questa versione viene bollato con i peggiori epiteti, sbeffeggiato ed escluso dal dibattito pubblico. Sì, perché da noi esiste anche la censura, per chi non lo sapesse: le TV non invitano i dissidenti o li invitano solo per ridicolizzarli, i social come Facebook sospendono il profilo o cacciano addirittura per sempre chiunque esprime un’opinione contraria al “politicamente corretto”, e non mi si venga a dire che questo è conforme alle regole del vivere civile.
Nella fattispecie la propaganda di regime che abbiamo in Italia, con tutte le TV e i giornali schierati come tanti soldatini al servizio del governo, a sua volta schiavo dei diktat americani ed europei, non differisce molto da quella della Russia o di altri paesi totalitari. Il senso di frustrazione che prova chi subisce questa emarginazione è forte, si ha la sensazione di essere soli in un deserto dove la nostra voce non è ascoltata oppure, se viene ascoltata, riceve per risposta lo scherno e l’insulto. Quindi la nostra non è una democrazia ma una dittatura; una dittatura che non ricorre ai carri armati o alla galera per i dissidenti solo perché non ne ha più bisogno. Come già diceva Pasolini molti decenni fa, oggi della repressione violenta non v’è più alcuna necessità: basta riuscire ad asservire la TV e tutti gli altri mezzi di informazione, ed il gioco è fatto.
Il blog va sempre peggio
Più di un anno fa scrissi un post per festeggiare i 200.000 ingressi sul mio blog, benché neanche allora fossi del tutto contento su come questa mia iniziativa fosse stata accolta. Ora però, che ho raggiunto le 300.000 visite, c’è ben poco da festeggiare: il numero mensile di visite, quest’anno, è diminuito quasi tutti i mesi rispetto ai numeri del 2017, ed i commenti si contano sulla punta delle dita di una mano. Non solo: i commenti stessi, oltre ad essere pochissimi, provengono sempre dalle stesse persone, da quei quattro o cinque che mi seguono con più assiduità, mentre negli anni precedenti ricevevo molte più opinioni e critiche, sia positive che negative, da un numero molto maggiore di lettori interessati a ciò che scrivevo. Che cosa è successo? Proverò qui a fornire qualche spiegazione di questa lenta agonia del mio blog, della quale mi dolgo non poco perché ritenevo che un blog serio, che parlasse di problemi reali senza contenere le spiritosaggini e le vacuità della maggior parte di coloro che scrivono sul web, avrebbe dovuto avere un seguito ben maggiore. Evidentemente mi sbagliavo.
Una delle principali cause del calo d’interesse per i blog in genere è probabilmente la diffusione dei social come Facebook, Instagram ecc., per cui tante persone preferiscono scrivere lì le loro opinioni (spesso anche in forma volgare, con insulti e turpiloquio), visto che certi messaggi vengono fatti passare tranquillamente mentre viene cacciato chi usa qualche termine non “politically correct”. In un blog invece, generalmente, il titolare effettua una moderazione dei commenti ed esclude quelli offensivi o fuori argomento; è successo a volte anche a me, sebbene piuttosto di rado perché, come ho detto, di commenti ne ricevo pochissimi e sempre da parte delle stesse persone. Comprendo che i social siano più interessanti di un blog, dal momento che trattano vari argomenti più o meno banali e vi si può interagire con maggiore facilità.
Va anche detto che i blog su internet sono moltissimi, ma la maggior parte di essi si occupa di questioni piuttosto futili e superficiali: ve ne sono sulla moda e sul trucco (ovviamente amministrati da donne), sugli hobbies più diffusi, sulle vicende sentimentali di qualcuno e gli aspetti più pruriginosi delle relazioni amorose. Questi ultimi sono frequentati da una massa di “voyeurs” che hanno un interesse morboso per certi particolari che dovrebbero restare privati e non essere resi pubblici sulla rete internet. Il mio blog, a differenza di tanti altri, si occupa di cultura, sia attraverso articoli che parlano di scuola e insegnamento, sia mediante recensioni di libri classici o considerazioni sulla politica e la società del nostro tempo. Evidentemente questi argomenti “seri” interessano molto poco la massa degli internauti di internet, e di ciò non mi stupisco vista l’ignoranza e la superficialità attuali di cui tante volte, proprio su queste pagine, mi sono lamentato. Oggi l’italiano medio non ha più tempo per pensare, riflettere, osservare la realtà in modo critico; basta avere lo smartphone, divertirsi e fare le vacanze in qualche località balneare e guardare una televisione sempre più stolida e di basso livello. Non solo la cultura non si mangia, come disse qualcuno, ma è pure inutile.
Non so se ci sia qualche altro motivo per cui il mio blog è in decadenza, e le visite diminuiscono di giorno in giorno. Con l’attivazione di esso io speravo di poter instaurare un dialogo costruttivo su problemi di un certo rilievo che dovrebbero interessare chi legge ed anche, lo confesso, di poter aver contatti con persone che occupano ruoli dirigenziali per poter influire su certe scelte, come quelle sulla scuola, che vengono prese spesso in modo autoritario e impreciso, senza consultare chi conosce veramente quell’ambiente. Nulla di ciò che speravo si è verificato, e quindi sto seriamente pensando di terminare questa esperienza che dura dal 2012 e di chiudere definitivamente il blog. Mi riservo un altro po’ di tempo per decidere e poi vedrò il da farsi. Probabilmente, visto come vanno le cose, mi sposterò su Facebook, dove già mi trovo ma come ospite, senza sentirmi in casa mia, e debbo stare pure attento a ciò che dico perché mi hanno già sospeso più volte.
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