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L’antifascismo di comodo

Allora, meglio se lo dico subito e lo scrivo addirittura in maiuscolo, come se gridassi: IO NON SONO ANTIFASCISTA. E adesso spiego il motivo di questa mia affermazione così grave, così terribile agli occhi di molti nostri connazionali. Non ho alcuna simpatia per il fascismo, ma non sono antifascista per una ragione semplice, semplicissima: perché si può essere “anti”, cioè “contro” qualcosa che è vivo, esistente e operante; ma poiché il fascismo è finito quasi 80 anni fa, non ha alcun senso oggi nel 2024 dichiararsi fascisti o antifascisti, perché quel periodo è storicamente concluso, morto e sepolto, ed è assurdo e ridicolo dopo tanti anni fondare oggi, in un mondo profondamente diverso da quello di allora, il dibattito politico sulla contrapposizione fascismo/antifascismo. Se ciò che appartiene alla storia dev’essere ancora motivo di scontro oggi, allora perché non essere, ad esempio, anti-napoleonici, anti-guelfi o ghibellini, o contro i senatori che uccisero Giulio Cesare?

L’essere antifascisti era giustificato e meritorio durante il periodo 1922-1945, quando effettivamente esisteva quella dittatura, ed era lecito opporvisi anche affrontando, come fecero tante persone, le conseguenze di quella posizione ideologica. Gli antifascisti di allora, da Croce a Gramsci, vanno elogiati per il loro coraggio, ma perché combattevano contro un nemico esistente e potente, che aveva conculcato le libertà individuali e collettive; ma essere antifascisti oggi è semplicemente ridicolo, significa combattere contro ombre e fantasmi che non esistono in alcun luogo. La battaglia di don Chisciotte contro i mulini a vento era senza dubbio più intelligente. E non è certo convincente dire che la nostra Costituzione è antifascista: certo che lo è, perché fu redatta poco tempo dopo la fine di quella dittatura, mentre se fosse scritta oggi o fosse rinnovata (come sarebbe auspicabile) non sarebbe solo antifascista, ma sarebbe contro tutte le dittature, senza distinzione alcuna, come lo sono quelle degli altri paesi occidentali. L’Italia è rimasta l’unica a rimestare eventi di un secolo fa, mentre sarebbe molto più sensato pensare al presente e al futuro, chiudendo finalmente questa storia del fascismo e dell’antifascismo, categorie che appartengono alla storia e non debbono essere più oggetto di discussione e di divisione nel mondo attuale.

Ma perché, nonostante il ridicolo che una tale posizione suscita, la sinistra continua a insistere su questo tasto e pretende la patente di “antifascista” da tutti, come se vi fosse veramente un pericolo di ritorno al fascismo? Se qualcuno crede questo è un visionario, per non dire di peggio, perché oggi nessuna forza politica si richiama più a quel periodo, nessuno mette in discussione la democrazia e le libertà che ne conseguono. Anzi, dico io, se un appunto si può fare a questo governo è di segno contrario, quello cioè di non identificarsi abbastanza negli ideali della destra storica e di essere divenuto – specie in politica estera – una fotocopia dei precedenti esecutivi, quelli di Draghi, Conte, Gentiloni, Renzi e compagnia bella.

La verità è che le ideologie, come le religioni, hanno bisogno di un “nemico” per poter sopravvivere alla loro inevitabile caduta. Per questo i cristiani si sono inventati il diavolo, gli angeli ribelli a Dio, gli infedeli da sterminare nelle crociate, e così hanno fatto i musulmani e tutti gli altri. Il marxismo, da cui deriva sempre la nostra sinistra, è un’ideologia, cioè una religione laica, e perciò anch’essa ha bisogno di un nemico per poter giustificare la propria esistenza; altrimenti verrebbe in luce l’assoluta insensatezza del PD, dei Cinque Stelle e delle altre formazioni di sinistra, che hanno dimostrato di non avere alcuna risposta valida ai problemi attuali, né argomenti consistenti, e di non avere più neanche una ben precisa identità, da quando questi partiti hanno del tutto abbandonato le tematiche sociali per le quali prima lottavano. Se un tempo il PCI aveva tanti sostenitori perché s’identificava nelle lotte operaie e contadine, ora il PD non può avere gli stessi consensi sostenendo i diritti dei gay e l’idiozia del “politicamente corretto,” perché i cittadini con pieno diritto non li seguono più. Tutta la sinistra è in grave crisi e rischia di scomparire; perciò, avendo solo leali avversari e non nemici, è costretta a inventarsi un “nemico” inesistente per nascondere i gravi problemi di sussistenza che la opprimono. Ed ecco quindi che in maniera piuttosto patetica riesuma il cadavere del fascismo morto, sepolto e decomposto, sperando ingenuamente di evitare l’inevitabile disastro a cui la conduce la propria totale inconsistenza.

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Il marchio d’infamia imposto dal pensiero unico

I regimi dittatoriali del XX secolo come il fascismo, il nazismo, lo stalinismo, usavano mezzi violenti e coercitivi per reprimere il dissenso, e per questo sono da tutti considerate dittature esecrabili da condannare, nelle quali è vietato individuare anche il minimo e trascurabile aspetto positivo. Eppure, se quei regimi ci fossero oggi, non credo che ricorrerebbero ai gulag, alle torture o alle fucilazioni: basterebbero la televisione, i giornali e i social, che sono strumenti di coercizione psicologica ben più forti della violenza materiale. Le attuali pseudodemocrazie come la nostra se ne servono a piene mani, per diffondere un pensiero unico dal quale non è possibile dissentire, altrimenti si va incontro ad un marchio d’infamia che rinchiude il dissidente in un ghetto fatto di disprezzo, di avversione, di dileggio che lo fanno sentire inferiore, gli tolgono la gioia di appartenere ad una comunità e di poter esprimere liberamente le proprie convinzioni. Sotto questo aspetto la nostra “democrazia”, che con tanta buffonesca pompa viene esaltata dalla gonfia retorica del 25 aprile, è in realtà anch’essa una dittatura, perché il dettato dell’art.21 della Costituzione, che garantisce la libertà di parola, è in realtà vanificato dalla diffusione massiccia di determinate idee e principi che in alcuni casi impongono il silenzio al dissidente (vedi l’ingiustissima legge Mancino, che punisce penalmente chi s’ispira al fascismo e non chi esalta il comunismo, una dittatura ben più bieca e sanguinaria), mentre in altri lo lasciano parlare ma per colpirlo subito dopo con un marchio d’infamia che assomiglia in tutto a quello che nell’antica Roma si applicava agli schiavi fuggitivi, marchiati a fuoco sul volto.

Vediamo quali sono questi marchi d’infamia, queste etichette prefabbricate che, applicate ai dissidenti, sono capaci di escluderli dal dibattito sociale e farli sentire inutili, veri e propri rifiuti della società. Con quello che è successo negli ultimi anni gli esempi sono piuttosto numerosi. Cominciamo da quello più comune, buttato in tutte le salse come il prezzemolo: “fascista”. E’ applicato a tutti coloro che non condividono le idee radical-chic dei comunisti con il Rolex che dalle loro ville di Capalbio pretendono di dare a tutti lezioni di vita basandosi su di una presunta superiorità culturale ed umana. Di seguito aggiungo: “complottista”, detto di tutti coloro che non accettano come oro colato le verità della televisione (per dirla con De André) asservita al pensiero dominante, ma cercano di ragionare con la propria testa. Poi: “negazionista”, che è stato appiccicato addosso a tutti quelli che, pur non negando affatto l’esistenza della pandemia da Covid, hanno osato opporsi alla dittatura sanitaria dello sciagurato governo Conte 2, che prima ci ha tolto tutte le fondamentali libertà chiudendoci per mesi agli arresti domiciliari, poi ha trattato da delinquenti, togliendo loro addirittura il lavoro, coloro che non volevano vaccinarsi, imponendo quindi un trattamento sanitario obbligatorio. E fa ridere, al proposito, che i capi della sinistra parlino di “libertà” il 25 aprile quando stati proprio loro che ce l’hanno tolta con le minacce e la prevaricazione.

Ma i marchi di infamia non sono finiti, ce ne sono almeno altrettanti che vanno ricordati. Il primo è “razzista”, espresso con profondo disprezzo contro tutti coloro che vorrebbero limitare l’invasione indiscriminata degli extracomunitari clandestini. Basta vedere come sono ridotti certi quartieri delle nostre città, vere latrine a cielo aperto, per rendersi conto che il problema esiste ed è anche bello grosso; ma guai a farlo notare, altrimenti il marchio d’infamia ti cala sulla testa come un macigno. Il secondo è “omofobo”, che colpisce come una stilettata alle spalle tutti coloro che considerano famiglia naturale soltanto quella fondata sull’unione tra persone di sesso diverso, e soprattutto non approvano pratiche obbrobriose come la maternità surrogata o “utero in affitto”, dovendosi riconoscere che per un bambino sarebbe preferibile, sia pure non in senso assoluto, avere un padre e una madre. Il terzo, molto diffuso in questi tempi, è “sovranista”, che di per sé non sarebbe una parolaccia ma tale lo diventa nell’uso comune, quando viene marcato a fuoco su persone che deplorano lo stato di soggezione economica e politica del nostro Paese alle potenze straniere, in particolare gli Stati Uniti d’America e l’Unione Europea. Questi poveri illusi che vorrebbero vivere in uno Stato sovrano e indipendente, capace di prendere da sé le proprie decisioni anziché prostrarsi pedestremente ai voleri altrui, non auspicano certamente l’isolamento dell’Italia, ma che almeno si eviti di diventare una colonia straniera come di fatto siamo diventati. Cavour, Garibaldi, Vittorio Emanuele II si sarebbero dati tanto da fare per liberare l’Italia dagli stranieri se avessero saputo che un secolo e mezzo dopo di loro saremmo di nuovo diventati terra di conquista, al punto che nessuno dei nostri governi, nemmeno l’attuale, riesce a renderci la perduta sovranità?

Di fronte poi all’attuale guerra fra Russia e Ucraina è stata creata una nuova etichetta per chi ha delle riserve sulla versione ufficiale dei fatti propinataci indistintamente da tutte le TV, i giornali e le altre fonti di informazione: quella di “putiniano”, cioè sostenitore del capo del Cremlino. Qui posso parlare personalmente: io non ho alcuna simpatia per Putin né intendo assolverlo in nulla, sia ben chiaro; ma sono convinto, come sono sempre stato, che quando c’è una lite o un conflitto, sia tra due persone, due gruppi, due nazioni ecc., è ben difficile che la ragione stia tutta da una parte e il torto tutto dall’altra. Se il personaggio in questione ha preso la sciagurata decisione di invadere un paese sovrano, evidentemente in qualcosa è stato provocato, e non solo dalla politica criminale di Zelensky (un dittatore, non un alfiere della democrazia), ma anche dall’espansionismo della NATO e dalla prepotenza americana, che mira a controllare tutto il mondo ed a ricondurlo all’interno della propria sfera di influenza. Se la NATO si era formata per contrastare l’Unione Sovietica durante la guerra fredda, una volta che il sistema sovietico è crollato avrebbe dovuto sciogliersi, non espandersi fino a porre testate nuclari a poche centinaia di chilometri da Mosca. Se questo vuol dire essere putiniano, allora vorrà dire che lo sono anch’io.

Come si vede, di marchi d’infamia ce ne sono per tutti i gusti, e ne vengono sempre coniati di nuovi per colpire e annientare chiunque si opponga al pensiero unico del “politicamente corretto” , di origine americana ma poi fatto proprio, con tanto zelo, dalla nostra sinistra. E tutto l’apparato informativo, concorde e coriaceo nel sostenere linee preordinate di pensiero e nel propagarle con una determinazione degna del Minculpop e di Goebbels, colpisce con questi anatemi chiunque si opponga, il dissidente è annientato con la violenza dell’insulto, dell’emarginazione, della beffa. I risultati ottenuti, quindi, ci dimostrano che siamo di fronte ad un sistema di potere organizzato e compatto che riesce ad eliminare il dissenso persino meglio di quanto facevano il secolo scorso i manganelli, l’olio di ricino, i campi di concentramento e i gulag. In un sistema politico come questo, dove il dissenso non trova spazio e dove ogni voce dissenziente dal pensiero unico viene messa a tacere, la parola “democrazia” diventa un orpello vuoto che non ha alcun collegamento con la realtà.

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Considerazioni sul “fascismo”

E’ un po’ di tempo che non scrivo sul blog, ma gli eventi di questi ultimi giorni mi impongono di ritornare a dire qualcosa riguardo al cosiddetto “fascismo” che starebbe risorgendo in Italia ed in cui molti vedono o fanno finta di vedere un pericolo per la democrazia.

Ora, posto che è indiscutibile la condanna unanime dei fatti di sabato, dell’assalto alla sede della CIGL e delle altre violenze, io mi pongo diverse domande non su quella fattispecie ma sul problema generale. Si può parlare di fascismo oggi nel 2021? E’ logico pensare che un ventennio sia così importante da dover essere rimesso in campo dopo 80 anni o quasi dalla fine di quel regime? E chi sarebbero i “fascisti” oggi, quali caratteristiche dovrebbero avere?

Sono dei nostalgici del ventennio? Ma nessuno di loro ha vissuto quell’esperienza, perché è nato dopo. Quindi come si può credere che “Forza Nuova” di oggi sia uguale al fascismo di Mussolini e degli altri capi di quel periodo? Non mi pare che i due fenomeni si assomiglino in alcun modo, anche perché con 80 anni di distanza non sarebbe possibile un’identità del genere. Al massimo può esserci una somiglianza esteriore espressa attraverso immagini del Duce, slogan e saluto romano; ma questa è forma, non sostanza. E’ passato troppo tempo perché il fenomeno si possa ripetere, anche perché Forza Nuova e le altre organizzazioni del genere non arrivano alle elezioni nemmeno all’1%. Quindi che paura si può avere di questi “fascisti”? A me la definizione pare impropria, perché le differenze sono più delle analogie. Al massimo si può definirli “estremisti di destra”, ma non “fascisti”.

Altra considerazione. Questi gruppi fanno violenza: tirano oggetti alla polizia, fomentano la guerriglia urbana, assaltano sedi di sindacati e partiti. Ma questa, purtroppo, non è una prerogativa dei cosiddetti “fascisti”: anche gli estremisti di sinistra hanno fatto cose analoghe e ben peggiori, visto che il terrorismo assassino degli anni ’70 è stato in preponderanza di matrice marxista. C’è da chiedersi quindi perché le autorità chiedano a gran voce lo scioglimento di “Forza Nuova” e non lo chiedano dei gruppi estremisti dei centri sociali, dei terroristi No-Tav, degli anarco-insurrezionalisti.

Cosa c’è allora allora dietro questo antifascismo da strapazzo che rievoca un nemico finito quasi 80 anni fa, visto che quelli di oggi sono un fenomeno del tutto diverso? C’è la volontà precisa della sinistra di usare questo mezzuccio per infangare e danneggiare i partiti di centro destra come la Lega e Fratelli d’Italia, che fanno loro paura perché maggioritari nel Paese; il loro sciacallaggio è evidente in inchieste come quelle di “Fanpage” e nelle trasmissioni televisive faziose come quelle di Formigli, della Gruber ed altre della 7 ma anche della Rai. Oggi, tanto per fare un esempio, il TG1 ha insistito per molto tempo sui “fascisti” di sabato scorso e non ha detto nulla dei disordini di Milano provocati dagli anarchici e dagli estremisti di sinistra. Questo è fare giornalismo e informare i cittadini? La volontà precisa, e neanche tanto nascosta, della sinistra è quella di accreditare a tutti i costi la volgare insinuazione di una connivenza tra i partiti di centro-destra e i cosiddetti “fascisti”. A questo proposito due considerazioni: 1) la destra italiana per mano dell’allora leader Gianfranco Fini ha sconfessato il fascismo fin dalla svolta di Fiuggi nel 1995; 2) stiamo ancora aspettando che i partiti di sinistra facciano lo stesso con gli orrori del comunismo, che nel mondo ha provocato molti milioni di vittime in più del fascismo e nazismo messi insieme. Mi fa sorridere il loro argomento, quando dicono che una dittatura comunista in Italia non c’è stata; non è questa una buona ragione per non prendere definitivamente le distanze dal comunismo e dal marxismo, visto che le connivenze e le alleanze ci sono state eccome tra il PCI e il PCUS. Sappiamo tutti che i comunisti italiani ricevevano finanziamenti illeciti dall’Unione Sovietica, ma nessuno li ha mai condannati per questo.

Che conclusione ricavo da tutto ciò? Che l’Italia non è una democrazia, perché un paese dove l’estremismo viene perseguito da una parte sola e dove l’informazione è vergognosamente di parte, dove si utilizzano le “fake news” per danneggiare gli avversari e si ricorre alla magistratura corrotta per eliminare coloro che non si riesce a vincere alle elezioni, non può essere definita una una democrazia. Si chiede lo scioglimento di Forza Nuova? Bene, io non ho nulla in contrario, ma come cittadino moderato di centro-destra ho il diritto di chiedere che tale provvedimento sia adottato anche nei confronti delle organizzazioni di estrema sinistra, che invece sono state sempre tollerate anche quando sparavano agli agenti di polizia e proclamavano l’attacco al cuore dello Stato e l’instaurazione della “dittatura proletaria”. Per molti motivi, che ho detto anche in altri post nei mesi scorsi, io sono convinto che la parola “democrazia” sia in Italia un involucro vuoto e che in realtà domini un pensiero unico che costringe al silenzio tutti i dissidenti: non ci mandano nei gulag come facevano i loro beniamini ma ci isolano dal contesto sociale, ci bollano con epiteti infamanti tra cui “fascista” è quello più diffuso. Se i cittadini non si renderanno conto di questo colossale inganno, di quest’azione criminale, non potremo mai liberarci da questa dittatura strisciante.

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Superiori e inferiori

Il recente caso degli insulti volgari rivolti contro Giorgia Meloni da parte di individui che non voglio qualificare per non situarmi al loro livello, mi ha riportato alla mente quella che è la situazione generale della cultura e della politica italiana. Il quadro complessivo, che comprende le sedi della politica, gli organi di informazione ed i luoghi ove si produce cultura, cioè soprattutto le Università, è desolante: nel nostro Paese infatti, a differenza di quanto avviene altrove, abbiamo una sinistra che si ritiene unica depositaria del Sapere e della Verità, mentre tutti gli altri, quelli che non aderiscono al loro Verbo, sono stupidi, rozzi, peracottari e pescivendoli o anche, nel migliore dei casi, disinformati. Da qui nasce l’insulto, la delegittimazione dell’avversario, da un presunto senso di superiorità che gli esponenti della sinistra, siano essi politici, giornalisti o professori universitari, vantano nei riguardi di tutti coloro che non condividono la loro ideologia.

Il fatto è grave, gravissimo, perché una società dove l’altro da sé non è un avversario da contrastare con i mezzi della democrazia, ma un nemico da abbattere, da disprezzare, da mettere all’angolo come indegno di esprimere le proprie idee, è una società fallita. Un ambito politico-culturale dove, ancora a distanza di 76 anni dalla fine del regime mussoliniano, si continua ad usare la parola “fascista” contro chiunque non sia di sinistra, non è un ambito che possa dirsi aperto al dialogo, perché chi riceve quell’appellativo insultante è immediatamente, per questa sua caratteristica, escluso dal dialogo e dal confronto. La responsabilità della grave arretratezza dell’Italia in campo ideologico, dove non si sono ancora fatti i conti con un passato di 80 e più anni fa e si continua ad accusare una parte politica di far parte di quel passato che non esiste più da tanti decenni, è tutta della sinistra, alla quale conviene mantenere in vita un nemico inesistente per legittimare le proprie convinzioni, scosse dagli avvenimenti storici che hanno dimostrato il completo fallimento dei criminali regimi comunisti.

Quello che a me fa più orrore, per riprendere l’argomento di prima, è la presunta superiorità della sinistra dal punto di vista umano e culturale. E sotto questo profilo quel che mi fa saltare i nervi non sono tanto gli insulti beceri come quelli rivolti a Giorgia Meloni, bensì l’atteggiamento derisorio, irridente che i radical-chic di sinistra stile Augias, Canfora, Asor Rosa e tanti altri hanno nei confronti degli avversari, i cui argomenti vengono accolti da questi “luminari” con sorrisini di compatimento, che stanno a indicare una presunta superiorità naturale, che vede l’altro da sé non come una persona che argomenta e ragiona, ma come un fenomeno da baraccone, qualcuno di cui bisogna sorridere beffardamente. Questo atteggiamento per me è peggiore degli insulti, perché io, anche nell’ambiente di lavoro dove sono vissuto ed in tutti i rapporti sociali, preferisco essere offeso piuttosto che deriso, diventare cioè zimbello di chi, non si sa con che diritto, si ritiene ontologicamente superiore.

Già al tempo della mia frequentazione delle Università toscane di Firenze e di Siena mi dovetti confrontare con questo clima di assolutismo comunista, che spesso sconfinava nella violenza contro chi non si allineava e permeava a tal punto l’ambiente dal presumere come ovvietà riconosciuta il fatto che tutti, docenti e studenti, dovessero necessariamente essere di sinistra; e se non lo eri dovevi tacere e non rivelare il tuo pensiero, altrimenti rischiavi il pestaggio e l’emarginazione. Questo clima di dittatura culturale, che io trovavo ingiusto e soffocante, è proprio quello che mi ha indotto a odiare la sinistra e l’ideologia marxista, per un desiderio legittimo di libertà di pensiero che allora mi veniva negata. Mi ricordo che negli anni ’70 a Siena c’era un docente che durante le lezioni apostrofava gli studenti con il titolo di “compagni”, e questo la dice lunga sul clima asfissiante che vi si respirava.

La presunta superiorità della sinistra, che ha occupato ed occupa ancora tutti i maggiori centri di cultura (le Facoltà universitarie a indirizzo umanistico, televisioni, giornali ecc.) è dovuta anche al fatto che, dagli anni ’60 in poi, nessuno ha saputo contrastarla: non il pensiero cattolico, che è rimasto sempre ai margini del panorama culturale ed è stato per lo più autoreferenziale, né la destra moderata, che non ha saputo esprimersi con intellettuali coraggiosi che osassero sfidare l’odioso predominio della parte avversa, e quando ha tentato di farlo era ormai troppo tardi.Oggi non c’è più il terrorismo brigatista e la sinistra bombarola degli anni ’70, ma esiste ancora una presunzione di eccellenza, una supponenza che va avanti da decenni e che ha influenzato profondamente la cultura italiana, indottrinando milioni di persone con una visione partigiana della storia ed anche della letteratura: i libri di testo ancora in uso nelle scuole sono quasi tutti orientati a sinistra, fatti storici importanti vengono ancora taciuti o sottovalutati, ed è stata creata artatamente una mitologia della resistenza e di certi valori e certe persone la cui applicazione ed il cui comportamento sono stati nella realtà molto meno “eroici” di quanto ci hanno lasciato credere. E chi osa mettere in dubbio qualcuno di quei miti viene subito etichettato come “fascista” ed escluso dal dialogo e dal consorzio sociale, allo stesso modo in cui il pensiero unico “politicamente corretto” sostenuto dalla sinistra mette al bando come “indegni” coloro che giudicano in modo diverso dal loro i problemi dell’immigrazione, delle minoranze ecc.

Da molti anni io sono profondamente disgustato dall’odioso atteggiamento di chi insulta, deride o delegittima l’avversario sentendosi ontologicamente superiore, non solo perché non vedo le ragioni di questa presunta superiorità, ma anche perché sono consapevole che con questa sinistra non è possibile un dialogo aperto e rispettoso delle idee altrui. Non si può parlare con chi ti insulta o ti sbeffeggia perché non condividi le sue idee, e questo è un gravissimo danno non per le persone singole, ma per il futuro democratico del nostro Paese.

Nel mio piccolo, per quel che posso, ho cercato di dimostrare che per essere persone di cultura non è necessario obbligatoriamente appartenere alla sinistra: nel mio ambito di competenza, che sono le letterature classiche, ho pubblicato libri, articoli e recensioni per un totale di 27 pubblicazioni, ed altre ne sto preparando, per non dire dei numerosi articoli a contenuto letterario inseriti nel mio blog personale. Non credo siano molti gli insultatori del web ancora fedeli alla falce e al martello in grado di esibire titoli di questo livello.

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Il potere e la cultura

Fin da tempi molto antichi chi voleva conquistare e mantenere il potere in uno Stato doveva in qualche modo fare i conti con la classe intellettuale, il cui appoggio si rivelava non solo utile ma addirittura indispensabile. Tutti i regimi, di qualunque origine e con diverse modalità, si sono procurati il sostegno ideale di poeti, scrittori, filosofi, artisti, ecc., il cui operato diventava una cassa di risonanza formidabile per giustificare e rendere accettabile qualsiasi forma di potere. Gli esempi storici sono svariatissimi e non è possibile citarli tutti. Già Pericle, capo del regime democratico ateniese del V° secolo a.C., assoldò pittori, architetti e scultori per erigere monumenti che dessero al visitatore l’immagine di una città non solo bella, ma efficiente e ben governata; Ottaviano Augusto a Roma fece la stessa cosa, ed in più si procurò l’appoggio della classe intellettuale del tempo mediante l’amico Cilnio Mecenate, che proteggeva e sostentava anche economicamente poeti e scrittori purché fornissero al mondo l’immagine artefatta di un sistema politico perfetto e persino derivante dalla volontà divina, secondo il messaggio subliminare contenuto nella più grande opera letteraria dell’epoca, l’Eneide di Virgilio. Senza citare tutti gli artisti, gli scrittori ed i poeti “di corte” succedutisi in duemila anni, basti ricordare che nel XX secolo anche Mussolini, Hitler e Stalin hanno avuto i loro intellettuali di regime, giacché anch’essi comprendevano che il potere più stabile e forte è quello che si fonda sul consenso, non soltanto sulla forza; ed è la classe intellettuale di un paese, più che i proclami e le parate di regime, a favorire e procurare il consenso delle masse.
Senza bisogno di ulteriori prove, credo che sia evidente a tutti l’importanza fondamentale che la cultura possiede, in qualsiasi nazione e con qualsiasi forma di governo, per orientare il pensiero dei cittadini e sostenere i valori in cui essi ripongono la loro fiducia. Ma purtroppo in Italia, dagli anni ’60 del XX secolo in poi, questo concetto basilare è stato trascurato e colpevolmente dimenticato dalla classe dirigente democristiana dell’epoca: essa ha commesso il più grave errore che si potesse compiere, che non è il clientelismo e la corruzione che dilagavano durante i lunghi anni dei vari governi a base DC, ma l’aver lasciato insensatamente il monopolio della cultura alla sinistra, da quella moderata a quella più estrema dei gruppi extraparlamentari e terroristici. Dal ’68 in poi l’unica cultura presente in Italia è stata quella marxista, che ha occupato prepotentemente tutte le università, quasi tutte le scuole superiori, la maggioranza dei giornali e delle televisioni, tanto da riuscire a presentare all’opinione pubblica la sua Verità come fosse l’unica possibile e plausibile. Nessuno ha saputo opporsi a questa dittatura culturale: né i cattolici, che hanno avuto poco spazio ed hanno finito poi per accettare molte istanze culturali dell’ex nemico comunista (ed è venuto fuori il famoso “cattocomunismo” che dura anche oggi), né tanto meno la destra, rinchiusa dalla brutale violenza avversaria nel lazzaretto degli appestati, gravata dall’infamante bollatura di “fascista” e incapace di esprimere personalità culturali di rilievo, a parte pochissime eccezioni.
Questa situazione di sudditanza di tutto il Paese a un’unica cultura, ad un pensiero unico, dura ancor oggi, benché la sinistra abbia ormai abbandonato e tradito del tutto le proprie origini e non parli più da molti anni di rivoluzioni con falce e martello; anzi, gli ex sessantottini bombaroli di allora oggi sono distinti funzionari di banca o dirigenti d’azienda, vanno in giro con macchine di lusso, alcuni di loro hanno il portafogli gonfio ed il Rolex al braccio, del tutto dimentichi di quello che un tempo fu il proletariato. Operai e contadini, chi sono costoro? La sinistra di oggi non li conosce più, ed infatti sono quasi tutti migrati verso la Lega e i Cinque stelle. Eppure, nonostante questo clamoroso voltafaccia di partiti come il PD, che farebbe rivoltare Berlinguer nella tomba, il pensiero unico esiste ancora sotto mutate forme e continua a condizionare l’opinione pubblica in maniera pesante ed esclusiva. Ancora oggi i centri della diffusione culturale sono in gran parte in mano alla sinistra; e non mi riferisco solo alle università ed alle scuole, dove l’80 per cento dei docenti si riconosce in quella parte politica, ma anche alle emittenti televisive, alcune delle quali sono smaccatamente faziose e continuano a propagandare, come macchine da guerra, il pensiero unico buonista che sostiene l’immigrazione clandestina, le teorie gender, l’abbandono dei valori morali e religiosi propri della nostra tradizione, accusando tutti coloro che non si allineano a questa dittatura culturale di essere arretrati, sovranisti e soprattutto fascisti. A questo proposito ho denunciato più volte su questo blog l’assurda posizione di chi, dopo 75 anni dalla fine del fascismo, continua a tenerlo forzatamente in vita per poter avere un “nemico” contro cui scagliarsi e additarlo così al pubblico disprezzo. Nell’antica Roma chi aveva compiuto reati infamanti era proclamato sacer, cioè consacrato agli dèi infernali, ed era perciò considerato un reietto, un rifiuto della società, tanto che nessuno gli rivolgeva più la parola ed era lasciato molto spesso morire di fame. La stessa cosa si fa oggi con chi non si allinea ai “santi principi umanitari” della sinistra: è fascista, quindi sacer, escluso dal consorzio civile.
La colpevole inerzia dei governi democristiani, che hanno lasciato alla sinistra il monopolio della cultura in questo paese, continua ancora oggi a produrre danni incalcolabili. L’odio e la violenza verbale dilagano sui social e sulla stampa, sostenuti e amplificati da canali televisivi come Rai 3 o la 7, veri centri di diffusione di menzogne e di false accuse; ed il guaio è che l’uomo comune, a forza di sentir ripetere idiozie come il “pericolo fascista” o accuse infamanti contro il nemico di turno (ieri Berlusconi, ora Salvini) finisce per crederci, e da questo clima dei tensione artatamente creato nascono poi persino movimenti di piazza formati da beoti arrivisti e pecoroni che li seguono, come sono appunto le cosiddette “Sardine”. Quando una parte politica riesce ad affermare il proprio credo mediante strumenti culturali (ed anche la televisione lo è, nonostante il suo infimo livello) e nessuno la contrasta, diventa facile orientare l’opinione pubblica e far credere a tante persone ignoranti e superficiali che quella è l’unica possibile verità. C’è poi un’altra cosa importante da considerare: che il monopolio culturale della sinistra, durato molti decenni (dal ’68 ad oggi), ha fatto sì che appartenere a quell’area politica sia ancor oggi “trend”, tanto da far credere che abbracciando quella ideologia e quel pensiero si diventi automaticamente intellettuali, persone rispettate e rispettabili. Per questo tanti professorini che aspirano a diventare professoroni, tanti scribacchini che aspirano a diventare scrittori, tanti giornalai che aspirano a diventare direttori di grandi testate, tutti costoro si fregiano dell’onore e del prestigio che viene loro dall’essere di sinistra. Magari poco sanno e nulla condividono di quelli che furono gli ideali di Gramsci, di Nenni e di Berlinguer, ma si dichiarano di sinistra perché è alla moda, fa tendenza. E così nel nostro sventurato paese si continua a negare le verità storiche più evidenti, a paventare fantasmi del passato che non esistono e ad accettare diktat e ricatti ignominiosi dagli stranieri per non passare da sovranisti. E a questo punto c’è da esser certi che a rivoltarsi nella tomba non sono soltanto i fondatori del marxismo tradito dai comunisti con il Rolex, ma anche tutti coloro che hanno combattuto e dato la vita per la l’indipendenza e la sovranità di un Paese che oggi, proprio per la diffusione del pensiero unico, è diventato nuovamente terra di conquista e di immigrazione incontrollata.

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Fare i conti con il passato

L’Italia è l’unico Paese europeo che io conosca che non ha ancora fatto i conti con il suo passato, non ha cioè ancora consegnato alla storia epoche ed eventi ormai trascorsi da molte decine di anni, e che si richiama continuamente al passato fondando su di esso, anziché sul presente e sul futuro, il proprio dibattito politico. I richiami continui e quotidiani al fascismo, alla resistenza, al presunto risorgere dei fantasmi del passato dimostra che non siamo un paese veramente libero e democratico, ma ancora prigioniero della faziosità e della partigianeria di chi, incapace di confrontarsi con l’avversario sulla base della normale dialettica, ricorre all’insulto ed all’applicazione di etichette infamanti, quasi che così facendo potesse nascondere i propri errori e la propria inadeguatezza nel fare proposte concrete e nel risolvere veramente i problemi.
Se facciamo una breve panoramica su altri paesi europei non troviamo nulla di simile. In Germania, ad esempio, i gruppi neonazisti esistono e vengono giustamente monitorati e condannati; ma non credo che un esponente di un partito di centro-sinistra ricorra all’infamante etichetta di “nazista” nei confronti di un avversario politico del centro-destra, perché giustamente distingue tra il fanatismo di pochi esaltati e la massa di moderati che, pur richiamandosi a principi e valori di destra, nulla ha a che vedere con gli estremisti. In Grecia, dove io sono stato più volte e ho potuto parlare con molte persone e conoscere la mentalità generale, il funesto regime dei cosiddetti “Colonnelli” viene giustamente condannato, ma vi è piena consapevolezza ch’esso appartiene alla storia e quindi nessuno accusa gli avversari di essere partigiani dei colonnelli. In Russia, dove il nuovo partito comunista ha più del 20 per cento dei consensi e forse vorrebbe ricostruire l’URSS in qualche sua nuova forma, non viene in mente a nessuno di accusare costoro di essere “leninisti” o complici delle nefandezze di Stalin. Il passato è passato, appartiene alla storia; va quindi conosciuto e studiato, ma non risuscitato eternamente nel presente per fondarvi sopra il dibattito ideologico.
In Italia, purtroppo, non si sono ancora fatti i conti con la storia e si continua a tirare fuori il fascismo ogni volta che qualcuno esprime un pensiero diverso da quello radical-chic e “politicamente corretto” che, a causa della supremazia culturale lasciata alla sinistra da decenni, domina in televisione, sulla carta stampata e nei centri di cultura del Paese come le Università. Ancora oggi nel 2019 la sinistra riesuma dal cimitero della storia il fascismo per bollare coloro che non aderiscono alla sua impostazione ideologica. Sei contro l’immigrazione incontrollata e pericolosa? Sei fascista. Sei contro le teorie gender e l’utero in affitto? Sei fascista. Ti permetti di far notare la sudditanza italiana ai diktat della Merkel e dei banchieri di Bruxelles? Sei fascista. E così si va avanti, qualunque cosa tu dica o pensi in maniera diversa dal pensiero unico radical-chic, che domina incontrastato anche quando ci sono governi di centro-destra. La riesumazione del fascismo, movimento politico concluso nel 1945, cioè ben 74 anni fa, si avvale anche di un altro canale di diffamazione e di demonizzazione dell’avversario: quello di generalizzare ed applicare a tutta una parte politica ciò che rappresenta una parte infinitesimale di essa. Sappiamo che anche da noi, come in Germania, esistono gruppi di esaltati nostalgici che fanno il saluto romano o inneggiano al Duce. Sì, purtroppo queste persone esistono, ma si tratta di gruppuscoli isolati e numericamente limitati, che non possono rappresentare alcun pericolo per una democrazia solida e radicata in Italia da oltre 70 anni, perché non hanno né il numero né la forza per far paura ad alcuno; eppure la sinistra strumentalizza l’esistenza di questi piccoli gruppi per lanciare fango sui milioni di persone che votano per la Lega o per Fratelli d’Italia, partiti accusati di connivenza, se non di complicità, con costoro. Si finisce quindi per sostenere che i milioni di persone che non votano a sinistra sono tutti fascisti, o almeno tacitamente disposti a strizzare l’occhiolino ai violenti. Sarebbe come dire che tutti i sostenitori di una squadra di calcio sono ultras violenti e pericolosi solo perché esistono alcuni fanatici che vanno allo stadio per far violenza e non per seguire l’incontro di calcio, o che tutti gli uomini sono assassini solo perché qualcuno di essi (forse uno su centomila) ha ucciso la moglie.
E allora viene da chiedersi: perché solo in Italia esiste questo sciacallaggio mediatico che ogni giorno applica etichette infamanti agli avversari, riesumando eventi ed ideologie ormai sepolte da decenni? Perché il fascismo è sempre presente sulla bocca di certi esponenti politici? Non si rendono conto costoro che dare del “fascista” a qualcuno oggi nel 2019 è come dargli del “garibaldino” o del “carbonaro”? Il passato va consegnato alla storia, va conosciuto e interpretato ma non strumentalizzato per affrontare il dibattito politico attuale, che deve fondarsi sul presente e sul futuro. Ma poiché io non me la sento di dire che tutti gli “intellettuali” di sinistra che ancor oggi parlano di pericolo fascista siano degli idioti (come invece loro dicono senza pudore dei loro oppositori) la risposta deve essere un’altra: che cioè le ideologie ed i sistemi di pensiero, qualunque essi siano, hanno bisogno di un “nemico” per poter sopravvivere, per poter giustificare i propri errori e la propria inconsistenza. La sinistra in Italia ha commesso infiniti errori dal 1945 e soprattutto dal ’68 ad oggi, si è rivelata incapace di governare il Paese e di dare ai problemi risposte concrete; ha abbandonato le proprie fondamenta per trasformarsi in una “lobby” di pseudo-intellettuali ricchi e totalmente distanti dalla base proletaria da cui era partita; ha dovuto sopportare di essere stata abbandonata dalle masse lavoratrici che adesso votano Lega o Cinque stelle. Di fronte a questo totale fallimento l’ideologia marxista (o quel che rimane di essa) non trova di meglio che dissotterrare il fascismo e tenerlo ancora forzatamente in vita con iniezioni di menzogne e di forzature, per poter sopravvivere ed autogiustificarsi attraverso la millantata necessità di difendersi da un fantomatico pericolo che nella realtà non esiste più da oltre 70 anni, se non nella forma folcloristica di pochi esaltati che non possono far paura a nessuno. Le ideologie sono dure a morire e farebbero di tutto per sopravvivere anche quando la storia le ha sconfitte, come è avvenuto con il comunismo. Incapaci di soccombere alla realtà oggettiva, essi gridano ancora “al lupo, al lupo!” per nascondere il loro totale ed irreversibile fallimento.

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Un’opinione sulla prof. di Palermo

Con tutto il clamore che si è fatto in questi giorni sul caso della sospensione di 15 giorni inflitta alla prof. Dell’Aria di Palermo, viene spontaneo a chi ha un blog come il mio di esprimere il proprio parere; non perché conti molto, ma perché ne sento l’esigenza, un po’ come l’antico poeta Giovenale diceva di scrivere satire non per ispirazione ma perché il vizio era talmente diffuso nella società romana da non poter fare a meno di commentarlo. In effetti è stato detto in TV e sui social tutto il possibile su questa professoressa di italiano di un istituto tecnico di Palermo, la quale ha subito un provvedimento di sospensione dal servizio, con lo stipendio ridotto a metà, per non aver sorvegliato adeguatamente i suoi alunni e non aver impedito loro di fare un video in cui il decreto sicurezza del ministro Salvini viene accostato alle famigerate leggi razziali del 1938 emanate dal governo fascista.
A mio parere il provvedimento preso contro l’insegnante è fuori luogo, per due motivi: primo, perché siamo in campagna elettorale e vicinissimi alle elezioni, per cui chi ha avuto l’idea avrebbe dovuto prevedere il vespaio che ne sarebbe derivato, con tanto di appelli agli art. 21 e 33 della Costituzione, con le solite lamentele sulla “censura” che vi sarebbe contro gli insegnanti ecc.; secondo, perché non ci sono prove certe che sia stata la professoressa a istigare negli alunni le assurdità che hanno messo in quel video. L’insegnante, interrogata dai giornalisti, si è detta dispiaciuta per il provvedimento a suo carico e per il clamore suscitato dalla vicenda, affermando la sua totale disponibilità ad accettare tutte le idee e la sua volontà di contribuire alla formazione negli alunni di un pensiero critico, senza ulteriori condizionamenti. Da parte mia non ho difficoltà a credere alle parole della collega e ad accettare la sua buona fede; pertanto, se i suoi studenti hanno allestito quel video con quei contenuti, può darsi che la causa di ciò vada ricercata altrove. Del resto un docente non può controllare o inibire tutto ciò che fanno o pensano i suoi alunni, e non è detto che sia personalmente d’accordo con loro. Non vedo motivi cogenti per mettere in dubbio le parole dell’insegnante, la quale può aver pensato che i suoi alunni, pur essendo minorenni, fossero già in grado di assumersi la responsabilità delle proprie azioni.
Il problema secondo me è un altro: i ragazzi che vanno a scuola, come e più degli adulti, restano condizionati da ciò che vedono in televisione o che leggono sui social, che sono diventati oggi per molte persone la principale fonte di informazione. E poiché esiste da mesi, e sempre più con l’avvicinarsi delle elezioni, una violenta campagna di denigrazione e di odio nei confronti del ministro Salvini, che oltretutto comprende numerosi accostamenti e paragoni della sua politica con quella di Mussolini o di Hitler, non c’è da stupirsi se dei ragazzi di un istituto tecnico, con la base culturale non certo eccelsa che hanno, siano rimasti condizionati e plagiati da questo clima. Quando si sentono trasmissioni come quelle della Gruber o di Fazio, tanto per comprendere sia la TV di Stato che la privata, che sono dall’inizio alla fine una serie di accuse senza contraddittorio contro un ministro regolarmente nominato, il quale viene bollato con tutti i peggiori titoli di fascista, razzista, sovranista, populista ecc., è normale che tante persone credano a quel che viene loro propinato a senso unico. Quando si leggono sui social i peggiori insulti contro chi sta cercando di difendere i confini nazionali e di ridare all’Italia quella dignità e quella sovranità che questa Europa dei burocrati ci ha tolto, è facile cadere nel tranello di chi spaccia per umanità e carità cristiana quello che è solo un interesse di parte. Ormai l’odio feroce degli avversari ha trovato in Salvini il nemico da abbattere con tutti i mezzi, anche con quello giudiziario. Con lui non dialogano, lo condannano e basta, senza appello, senza neanche cercare di comprendere ciò che, nel bene e nel male, sta cercando di fare. Questa è la strategia della sinistra radical-chic: niente dialogo, solo insulti e disprezzo. L’hanno fatto con Berlusconi per vent’anni e adesso lo fanno con Salvini, senza che a nessuno venga il sospetto che questa tattica sia sbagliata e che possa anche trasformarsi in un boomerang che ritorna contro chi l’ha lanciato. In questo clima vergognoso di caccia alle streghe è naturale che degli studenti si siano lasciati condizionare e abbiano paragonato un decreto di oggi alle leggi razziali del 1938, visto che hanno quei maestri di cui dicevo prima. Non c’è da meravigliarsi di quanto accaduto, visto che ad ogni livello la sinistra – compresi i suoi celebri “intellettuali” come Canfora, Luperini ed altri – continua ancor oggi nel 2019 a parlare di “fascismo” dopo 74 anni dalla fine di quel regime solo perché le fa comodo inventarsi un nemico che non esiste più per tenere in vita e giustificare un’ideologia ed una politica fatta di odio. Se celebri intellettuali credono alla fandonia del fascismo, che meraviglia c’è se a crederlo sono ragazzi di quindici o sedici anni?
Per questi motivi io ritengo che la professoressa non abbia colpa direttamente di quanto accaduto, che è invece del clima avvelenato diffuso in questi tempi. Il problema della politica nella scuola però esiste e non è certo limitato a quell’istituto di Palermo: sono cinquant’anni, dal ’68 in poi, che nelle scuole molti docenti hanno cercato e cercano di indottrinare i loro alunni e uniformarli alle loro idee, con un comportamento che io giudico distorto e delittuoso, chiunque lo metta in pratica, sia di destra o di sinistra. La scuola dovrebbe essere un luogo di formazione del pensiero critico ed il docente una guida ed un tramite essenziale per raggiungere questo obiettivo, senza però che cerchi di plagiare gli studenti e senza che metta in pratica (come più volte è successo) comportamenti addirittura penalizzanti per chi ha una visione della realtà diversa dalla sua. Io ho sempre avuto le mie idee, che traspaiono abbastanza da ciò che scrivo adesso, quando sono in pensione e non più a contatto diretto con gli studenti; ma finché sono stato in servizio ho sempre accettato tutti gli orientamenti dei miei alunni e non ho mai cercato di indottrinare nessuno. Del resto, insegnando latino e greco con poche ore settimanali, non avrei avuto neanche il tempo di divagare dagli argomenti che dovevo svolgere ed ai quali mi attenevo. Questo merito almeno me lo posso attribuire, ed i miei ex studenti che ancora mi contattano me lo hanno sempre riconosciuto.

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Osservazioni sul fascismo

Come tutti (o quasi) sanno, il fascismo è stato un regime totalitario che è durato in Italia per un ventennio o poco più, dal 1922 al 1945. Questo ci dice la storia, alla quale questo periodo della vita italiana avrebbe dovuto essere riconsegnato; ed invece per tutti questi anni, dalla fine della guerra ad oggi, c’è stato chi ha voluto tenerlo in vita, come uno zombie, per più di settant’anni, paventando un “pericolo fascista” anche oggi, nel 2019, mentre in altri paesi il passato è passato e come tale viene considerato. Forse in Grecia si accusano ancora gli avversari politici di essere fautori del regime dei colonnelli? In Francia si accusano forse i dissidenti di Macron di essere “collaborazionisti di Vichy”? In Germania si accusa forse qualcuno di far parte della “Stasi”, la terribile polizia comunista del passato regime filosovietico? A me non sembra. E allora perché solo da noi in Italia si continua a bollare con il marchio d’infamia di “fascista” chiunque non appartenga alla lobby dei radical-chic o si opponga agli sbarchi incontrollati degli immigrati di colore o sia comunque contrario al “politically correct” che ci costringe ad accettare un linguaggio falso ed ipocrita?
Tentiamo di dare una risposta, che secondo me è una sola: le ideologie, così come le religioni, hanno assoluto bisogno del “nemico” per poter sopravvivere e prosperare, per potersi alimentare di continuo attraverso l’odio verso chi impedisce od ostacola la loro realizzazione ed il loro dominio in società. La Chiesa Cattolica non avrebbe potuto durare 2000 anni ed acquisire tutto il potere che ha se non si fosse inventata il “Maligno” e gli “infedeli” da combattere nelle crociate, e ciò vale anche per le altre religioni; allo stesso modo, l’ideologia marxista, che non a caso usava il termine “lotta di classe”, non avrebbe potuto sopravvivere né instaurare regimi liberticidi in tutto il mondo se non ci fossero stati i “padroni” da combattere, i “kulaki” o ricchi possidenti terrieri russi che i bolscevichi annientarono, i “fascisti”, appunto, da sconfiggere per affermarsi. Per un certo periodo la contrapposizione con il presunto “nemico”, ciò che tiene in vita religioni ed ideologie, poteva avere un fondamento nella realtà; ma poi, con il cambiamento delle condizioni storiche e la fine del terribile “demone” da distruggere, le costruzioni ideologiche rischiavano di implodere su se stesse perché la loro lotta, il loro livore diventavano inutili contro un avversario che non esisteva più. Ed allora, cosa si è escogitato? Un espediente geniale: quello di tenere in vita artificialmente il “nemico” anche dopo la sua morte, in modo da poter continuare a far finta di sentirsi aggrediti, di subire pericolose minacce, e tutto ciò per poter sopravvivere, poter continuare a sostenere ideologie criminali e assurde come quella marxista, fallita in tutto il mondo ma da noi ancora attiva ed operante.
Certo, la sinistra in Italia ha cambiato aspetto in questi decenni, anche sensibilmente. C’è stata una sinistra violenta negli anni ’60 e ’70 che si opponeva al “sistema” con l’uso delle spranghe, delle bottiglie molotov ed anche con l’assassinio degli avversari, una vera e propria eversione che alimentò anche il terrorismo omicida delle Brigate Rosse a cui lo Stato non seppe opporsi con l’energia che sarebbe stata necessaria. Già quella sinistra, che oggi per fortuna non esiste più se non in gruppuscoli isolati di fanatici, definiva “fascista” chiunque non appartenesse a quella ideologia, tanto che furono bollati con quel termine anche esponenti del PCI che non condividevano certi metodi. Oggi parlare di sinistra estrema o di “comunisti” in senso proprio sarebbe fuori luogo, perché di certe posizioni filosovietiche ed eversive non se ne vedono quasi più; la sinistra non solo si è imborghesita, ma addirittura ha assunto modi e comportamenti tipici di coloro che un tempo erano i suoi avversari, i “padroni”. Oggi essere di sinistra non vuol dire più stare dalla parte degli operai e dei contadini, classi sociali che non esistono neanche più nel senso che questi termini avevano decenni fa; anzi, attualmente ci sono i “comunisti con il Rolex”, cioè i cosiddetti “radical-chic”, persone che continuano a professare idee di sinistra, a volte persino radicali, ma vivono nel benessere e persino nel lusso. Loro caratteri precipui sono: l’ostentazione di una presunta cultura che apparterrebbe solo a loro mentre tutti gli altri sarebbero ignoranti e disinformati, una visione buonista della realtà per cui si dovrebbero aprire le frontiere a milioni di immigrati senza controllo e la contrapposizione frontale verso chiunque esprima un’idea contraria alle loro. Si tratta per lo più di una violenza verbale, ma che spesso si misura anche in pratica mediante il tentativo di chiudere la bocca agli oppositori con leggi liberticide come quelle di Fiano e di Scalfarotto sulla presunta “omofobia”, norme che reintroducono in Italia il reato di opinione, finora tipico soltanto delle dittature. Particolarmente aspra e subdola è stata, inoltre, la loro campagna diffamatoria contro gli esponenti politici del centro-destra, prima Berlusconi (perseguitato sul piano giudiziario con accuse ridicole come quelle del “processo Ruby”) e poi Salvini, fatto bersaglio dell’odio più disumano e dei più grossolani insulti. Questa sinistra di oggi è per certi versi l’opposto di quella del PCI di Berlinguer, che veramente difendeva le fasce deboli della società, ed anche di quella bombarola degli anni ’70, ma una cosa ha in comune con esse: l’uso ossessivo del marchio infamante di “fascista” contro chiunque si opponga alla loro mentalità ed alla loro visione della realtà.
Ed ecco che ritorna la necessità imprescindibile per l’ideologia marxista, sia pur cambiata rispetto al passato, di avere un “nemico” per poter sopravvivere, per poter reagire nelle discussioni quando non si hanno validi argomenti. E’ successo a chiunque non appartenga alla cerchia dorata dei radical-chic: appena si intavola una discussione e si riesce a dimostrare che le loro idee sull’immigrazione o sulla famiglia sono inaccettabili costoro, anziché ribattere con solidi argomenti, ti danno del “fascista” e con quella parolina magica chiudono il dibattito. E’ un modo per non cedere, per non dover ammettere l’inconsistenza e le contraddizioni della loro ideologia.
Questa è l’unica spiegazione per cui il fascismo è ancora oggi vivo e operante sulla bocca, nella penna e nella tastiera di tante persone. Il regime cui dovrebbe legittimamente riferirsi questa terminologia è finito nel 1945, per cui gridare oggi al “pericolo fascista”, al ritorno di quel regime, è assurdo; anzi, diciamolo pure, è da idioti in malafede, perché attualmente la democrazia italiana è solida e nessuno potrebbe abbatterla. Chi potrebbe avere oggi i mezzi culturali e materiali per restaurare un regime come quello del 1922? Soltanto affermare una cosa del genere dovrebbe far auspicare la riapertura dei manicomi. Se la sinistra nostrana teme davvero che quei pochi ragazzotti di “Casapound” o di “Forza Nuova” che alle elezioni raggiungeranno sì e no lo 0,5% siano un pericolo reale, allora ci fa veramente dubitare di quella intelligenza e di quella cultura che tanto ostentano i radical-chic. Io sono convinto che neanche loro pensano questo; il tenere in vita artificialmente il fascismo, quindi, altro non è che un espediente per perpetuare nel tempo un’ideologia sconfitta dalla storia, che ha cambiato forma e nome tante volte ma che nel profondo resta intollerante e faziosa, e che non ammette altra Verità se non la propria. Questa è, nel nostro Paese, l’unica cosa veramente pericolosa.

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Avere un blog: i pro e i contro

In questi giorni il mio blog, inaugurato nel febbraio del 2012, ha raggiunto il lusinghiero traguardo delle 50.000 visite. So che non è molto in confronto ai blog dei “vip” conosciuti a livello nazionale, che ragionano in termini di centinaia di migliaia di visitatori, ma per un semplice professore di liceo non mi par poco aver raggiunto un numero del genere. Ciò significa che gli argomenti di cui parlo, tra cui primeggiano ovviamente i problemi della scuola e le situazioni quotidiane in essa vissute, interessano a molte persone. E dato che pubblicare un libro di memorie, di racconti o di saggi è oggi diventata un’impresa disperata, anche e soprattutto a causa della crisi che investe l’editoria cartacea, ben venga questo strumento moderno, cioè internet, che consente di far conoscere agli altri il proprio pensiero.
Avere un blog è quindi una grande opportunità, che fino a pochi anni fa non esisteva; e questo rappresenta un indubbio vantaggio per chi, come il sottoscritto, sente l’impulso di far conoscere pubblicamente le proprie idee e le proprie convinzioni, pur non ricavandone ovviamente alcun guadagno materiale. E’ insito nella natura umana, come ben sottolineavano i nostri padri greci e romani, il desiderio di far conoscere se stessi, le proprie opinioni e le proprie qualità, perché ciò che si sa e si pensa non deve restare chiuso in noi stessi ma fatto conoscere a quante più persone possibile che ne siano interessate. Questa attività alimenta la discussione e lo scambio delle idee, utili a tutti coloro che riconoscono l’opportunità del dialogo civile e democratico; per questo io leggo molto spesso i blog degli altri, perché conoscere molti punti di vista, anche diversi dal proprio, serve comunque a riflettere e talvolta anche a ravvedersi su certe posizioni. E’ stato detto, e giustamente, che solo gli idioti non cambiano mai idea.
Però gestire un blog comporta anche impegni e inconvenienti, non dobbiamo dimenticarlo. Prima di tutto esso va “alimentato” con nuovi post abbastanza di frequente, altrimenti succede che i lettori se ne vanno e non tornano più. Esistono blog che vengono aggiornati, quando lo sono, poche volte l’anno, e così a poco a poco vengono dimenticati. Per questo io cerco di inserire un nuovo post, in media, una volta alla settimana, anche se a volte mi costa fatica trovare il tempo per scrivere qui e mi riduco a farlo a tarda notte, dopo aver corretto i compiti o essermi aggiornato sulle mie discipline di insegnamento. E poi c’è il problema dei commenti: quando i lettori ne mandano qualcuno a un articolo del mio blog, mi sento in dovere di rispondere, e anche questo porta via del tempo. Non capita raramente, poi, che nei commenti e nelle mail che ricevo si trovino anche spiacevoli critiche o addirittura insulti, da parte di chi non si riconosce in quello che ho scritto. Ciò non mi spaventa, perché da sempre sono abituato a dire apertamente ciò che penso, anche a costo di procurarmi risentimenti e inimicizie; mi è successo tante volte nella vita reale, può succedere dunque anche in quella virtuale. Per fortuna su internet c’è la possibilità di non pubblicare i commenti offensivi o volgari, e così faccio; ma il disappunto per il comportamento di certe persone, purtroppo, rimane.
Se il blog, come nel mio caso, è quello di un docente che deve avere anche funzione di educatore e di formatore, ciò comporta un altro problema, cioè che occorre stare attenti a ciò che si scrive per non rischiare di essere fraintesi o di far passare un messaggio che il pensiero comune oggi non accetta. Ammettiamo per assurdo che un professore che gestisce un blog sia favorevole alla pena di morte o contrario all’accoglimento di tutti questi extracomunitari che sbarcano ogni giorno sulle nostre coste: non può dirlo apertamente, perché sarebbe subito tacciato di essere forcaiolo o razzista, e questo è incompatibile con la funzione formativa dei giovani che sono affidati alle nostre cure. Pare strano, ma questa è una vera e propria limitazione della libertà di espressione, nel senso che l’opinione comunemente diffusa da giornali e tv non permette ad alcuno di schierarsi apertamente contro senza rischiare un linciaggio mediatico, e questo un docente non se lo può permettere. Quindi la sincerità di cui parlavo prima non può essere, in questo caso, applicata fino in fondo, e occorre sempre trovare compromessi. Lo stesso vale per le opinioni politiche, che un docente non dovrebbe manifestare apertamente con i suoi studenti, per non essere accusato di volerli indottrinare; pertanto ciò che è permesso a qualsiasi altro cittadino non lo è al professore, il quale deve sempre destreggiarsi in una visione generalista e approssimativa della realtà politica che ci circonda. E debbo confessare che a me questo non riesce del tutto, nel senso che non è difficile, a chi legga attentamente i post passati del mio blog, comprendere il mio punto di vista. E’ ben vero che oggigiorno le ideologie sembrano non esistere più, tanto che si fa fatica a distinguere ciò che è di destra da ciò che è di sinistra; ma per chi, come il sottoscritto, ha vissuto gli anni degli scontri e del terrorismo, questi concetti sono ancora vivi nella mente, e non è facile adattarsi al grigiore ed al consumismo che caratterizzano la società attuale.

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L’urlo dello sciacallo

Dopo la recente sentenza di condanna di Silvio Berlusconi da parte della Cassazione, sono tornati a farsi sentire gli sciacalli giustizialisti e forcaioli, primo di tutti il sig. Beppe Grillo ed i suoi servi seduti in Parlamento. Appena appresa la notizia, l’ineffabile “guru” del movimento ha subito chiesto che il Parlamento faccia decadere Berlusconi da senatore e lo dichiari ineleggibile. A parte il fatto che ciò sarebbe offensivo per quei 10 milioni di italiani che – votino o no per il PDL – non si riconoscono nell’area politica della sinistra, ma ciò che indigna di più è il fatto che proprio il sig. Grillo, che insulta e attacca tutti nel nome del nulla e della totale inconcludenza, è stato condannato egli stesso, addirittura per omicidio colposo di tre persone. Come può avere il coraggio un pregiudicato, perché di questo si tratta benché il reato sia solo colposo, di inveire contro gli altri e continuare a vomitare ingiurie a destra e a manca? Perché nel nostro Paese, nel nome di un malinteso concetto della libertà di espressione, si permette che un individuo di quella fatta, spregevole anche solo a vedersi, possa impunemente insultare tutti senza contraddittorio e senza che la magistratura prenda alcuna iniziativa? Forse perché il suo movimento ha avuto molti voti? Ma si tratta di voti qualunquisti, di pura protesta, senza alcuna precisa volontà politica; e anche i parlamentari dei 5 stelle, come ben si può notare già adesso, o sono incompetenti totali oppure si adeguano molto presto ai privilegi ed alle furberie della politica. E poi è inutile che si nascondano dietro il velame dell’antipolitica: il movimento di Grillo in realtà è di estrema sinistra, ha adottato il linguaggio becero di quella parte politica, ne condivide le idee (v. il sostegno al movimento No-Tav ed ai centri sociali, per esempio) e ne condivide anche l’odio feroce e distruttivo contro Berlusconi e il centro-destra in generale. Non credo però, quando torneremo a votare, che gli italiani si faranno imbrogliare ancora da questo guitto da baraccone.
Quindi anche Grillo, come tutta la sinistra, fa fronte comune contro il “diavolo”, il “Caimano”, come l’ha chiamato un loro regista, piuttosto insipido in verità. E la Magistratura, come vediamo da molti anni, si adegua, e colpisce da una parte sola. Io ricordo bene gli anni di Tangentopoli (1992/3): come si comportarono allora i magistrati? Provocarono un enorme terremoto politico, distrussero interi partiti (DC e PSI) ma non perseguirono mai i comunisti del PCI, che notoriamente ricevevano finanziamenti illegali dall’Unione Sovietica. Chissà perché, vogliamo chiedercelo? E’ la stessa domanda che mi pongo adesso, quando la persecuzione contro Berlusconi procede ininterrotta da vent’anni fino ad arrivare alla distruzione completa del personaggio, mentre gli scandali e le malefatte dell’altra parte (v. la vicenda del Monte dei Paschi di Siena) vengono trascurati, o comunque trattati con molta più mitezza. Ma la Magistratura, secondo la Costituzione, non dovrebbe essere al di sopra delle parti? Non dovrebbe stare fuori dalla politica? Fenomeni come Di Pietro e Ingroia, fedeli servitori della sinistra, non sono anomali in un Paese civile? Non è questo un conflitto di interessi altrettanto vistoso di quello di Berlusconi? A questo punto c’è da chiedersi se siamo ancora in un Paese democratico o nella Russia di Stalin, dove i processi-farsa servivano ad eliminare gli avversari e i dissidenti. Vi sono tanti modi di imporre un regime, e questo è uno dei più raffinati.

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