Quando accadono fatti atroci come il recente femminicidio della povera Giulia, in me sorgono spontanei due diversi sentimenti: il primo è la normale compassione per la povera vittima, il secondo è invece l’indignazione per ciò che si sente dire nei dibattiti televisivi e sui social, che in questi giorni non si occupano d’altro. Quello che mi dà più fastidio è sentire le solite femministe da quattro soldi invocare sempre il cosiddetto “patriarcato” e colpevolizzare tutti gli uomini facendo di ogni erba un fascio, come se il nostro essere maschi, una cosa che oltretutto non è dipesa dalla nostra volontà, fosse di per sé una colpa, un marchio d’infamia. Secondo queste oche starnazzanti, che spesso si pregiano di essere filosofe o sociologhe, gli uomini sarebbero tutti potenziali violentatori e assassini, secondo un retaggio che deriverebbe da un’atavica concezione della società e dei rapporti di genere, al punto da considerare la donna come loro possesso privato su cui detenere potere di vita e di morte.
A questi vaneggiamenti propri del femminismo più becero, a cui strizzano l’occhio tanti giornalisti e politici della nostra sinistra, basterebbe rispondere che il problema dei femminicidi esiste anche nei paesi che costoro ritengono più civili e meno patriarcali del nostro come la Germania, la Francia, la Norvegia, la Svezia e persino gli Stati Uniti d’America. Ma costoro fingono di non saperlo e continuano a spargere fango sul nostro Paese e a fare sciacallaggio contro l’attuale governo, come se la colpa dei delitti che vengono perpetrati fosse di qualche ministro del governo Meloni, o come se con gli altri governi precedenti i femminicidi non fossero esistiti. Siamo alla follia più pura: pur di attaccare il governo in carica certi ignobili scribacchini dei giornali e delle TV nostalgiche del comunismo riescono persino a strumentalizzare una vicenda drammatica come quella della povera Giulia per guadagnare qualche consenso. Sono vomitevoli, solo il disprezzo e lo schifo è ciò che meritano.
Io ritengo che il “patriarcato” non esista affatto nella nostra società, tranne forse in qualche famiglia più culturalmente arretrata; ma, a parte il fatto che in quelle famiglie i femminicidi non avvengono, nella stragrande maggioranza delle situazioni la donna è giustamente considerata alla pari dell’uomo, può fare carriera nell’ambito lavorativo e realizzarsi come persona, nessuno si oppone ormai a questo dato di fatto, nonostante le urla delle megere che amano sfondare le porte aperte per continuare ad esistere ed avere un po’ di visibilità. Sono anzi certo che con il patriarcato il femminicidio non c’entri nulla, perché chi compie questi odiosi delitti è spesso persona istruita, giovane e ben inserita in una società paritaria.
Sull’origine di questa violenza credo che una parola giusta sia stata detta dallo psicanalista Paolo Crepet e da altri della medesima opinione, a cui anch’io aderisco. Il fatto è che oggi i giovani vivono come tenuti nella bambagia, non sono più abituati ad affrontare difficoltà o a subire delusioni e insuccessi. Guardiamo cosa succede a scuola: se un alunno prende un voto basso, subito arrivano i genitori a difenderlo, se viene bocciato ecco che ricorrono al TAR e lo fanno promuovere; le punizioni, che sono sacrosante perché mostrano le conseguenze di un’azione sbagliata ed educano colui che ha sbagliato, oggi non esistono più, sempre grazie alla mentalità di origine sessantottina e di sinistra che, quando viene commesso un reato, attribuisce la colpa a tutti meno che al diretto responsabile. In questo modo i giovani crescono nella presunzione di avere tutti i diritti e nessun dovere, e soprattutto non sono più in grado di accettare rifiuti o insuccessi: ecco così che in certi casi estremi, quando uno di loro si vede abbandonato da una ragazza, reagisce in modi diversi ma comunque sbagliati, dei quali il peggiore di tutti è quello che porta alla violenza e all’assassinio.
Come rimediare a questo gravissimo problema? Esso ci mostra come la nostra società così moderna e tecnologizzata sia in realtà squallida e nichilista, e che sotto questo aspetto le cose andavano meglio molti decenni fa, quando le donne avevano forse meno diritti ma non venivano ammazzate. Secondo me insistere perché la scuola si faccia carico anche di questa “educazione all’affettività” è un errore grossolano, perché questi principi etici e psicologici vanno insegnati in famiglia; la scuola non ha questo compito direttamente, ma indirettamente già lo assolve trasmettendo ai giovani (soprattutto attraverso la cultura umanistica) valori positivi che sarebbero sufficienti se le famiglie sapessero fare bene la loro parte. Certo, l’educazione è importante, ma non è uno strumento che possa dare frutti nell’immediato, perché troppi danni sono stati fatti dalla TV, dai social, dal buonismo melenso dei pedagogisti e dei politici per poter cambiare qualcosa in poco tempo. Sul momento io credo che un forte inasprimento delle pene esistenti, che devono essere scontate effettivamente dal primo giorno all’ultimo senza alcun permesso o facilitazione di alcun genere, sia l’unico deterrente in grado di ottenere qualche risultato. Non parlo di pena di morte perché oggi questo è diventato un tabù; ma sono convinto che se il suo ripristino per gli omicidi volontari fosse proposto mediante un referendum generale, tre quarti della popolazione voterebbero a favore.