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La fine della democrazia

Tutti si sono indignati per quanto avvenuto negli Stati Uniti e hanno detto che è stato violato il tempio della democrazia. Già qui c’è un errore, secondo me, perché l’origine dei regimi democratici non sta certo in America, ma caso mai nell’antica Atene del V° secolo a.C. e, per l’epoca moderna, nei principi della Rivoluzione Francese. Ma tant’è. Quello che vorrei dire è che Trump o chi per lui non è stato certo il primo a provocare il vulnus alla democrazia cui assistiamo da tempo, ma in realtà questa forma di governo, che oggi appare l’unica possibile e accettabile a giudizio generale, è imperfetta dappertutto, non è mai giusta e completa, e spesso dove ci si riempie la bocca con nobili concetti come “democrazia”, “giustizia”, “uguaglianza” ecc. è proprio il luogo dove questi principi sono trascurati e calpestati.

La democrazia ha dei difetti di suo, inutile negarlo. Alexis de Tocqueville disse ch’essa altro non è che la dittatura della maggioranza, e aveva perfettamente ragione; Churchill disse che i sistemi democratici avevano grandi difetti, ma che gli altri erano peggiori. Comunque, lasciando stare i difetti altrui, credo anch’io che la democrazia di per sé sia un sistema fortemente imperfetto, per diverse ragioni: 1) decide la maggioranza, ma questo è un fatto puramente quantitativo, non qualitativo, dato che nella storia è stato tante volte dimostrato come la ragione stesse dalla parte delle minoranze, o addirittura di chi era solo a proclamare certe verità (vedi i casi di Giordano Bruno e di Galilei); 2) il principio di uguaglianza tra i cittadini non dovrebbe esercitarsi in campo politico, perché per amministrare uno Stato non basta essere cittadini onesti, occorrono competenze e capacità che spesso i politici non hanno. E’ anche ingiusto, a mio parere, che il voto di un analfabeta valga quanto quello di un premio Nobel: per partecipare alla gestione dello Stato, anche semplicemente come elettori, occorrerebbe dimostrare di avere un minimo di cultura civica e politica; 3) in democrazia le masse sono facilmente manovrabili da parte di demagoghi senza scrupoli, che ai nostri tempi si servono abilmente dei mezzi di informazione (TV, social, Web ecc.) per addormentare le coscienze con promesse fasulle da imbonitori, come ad esempio il reddito di cittadinanza e lo Stato assistenziale che, invece di rilanciare il lavoro e l’impresa, distribuisce soldi a chi non fa nulla in cambio di voti.

Così, con la manipolazione delle masse mediante i mezzi di informazione ed il pensiero unico imposto a tutti, la millantata democrazia si trasforma in una dittatura strisciante, come quella che abbiamo oggi nel nostro Paese ad opera di un governo di persone del tutto inesperte e sprovvedute che, occupando di forza i principali canali TV (tutta la Rai è filogovernativa, basta ascoltare telegiornali faziosi come il TG1 con giornalisti servi del potere, per non parlare della “Sette”) diffonde il proprio pensiero facendolo passare per l’unica possibile verità e fa il proprio interesse spacciandolo per quello dei cittadini. Così continuano a terrorizzare le persone con la paura del virus, mostrano continuamente scene di morte e ospedali dove le persone soffrono, oppure presunti assembramenti di giovani che vengono criminalizzati e fatti passare da untori, quando è il governo ad essere del tutto inefficiente, essendosi limitato a toglierci la libertà e a distruggere l’economia anziché provvedere a migliorare i settori critici (v. i trasporti) ed a lasciar vivere le categorie produttive. Con questo virus bisogna conviverci, c’è poco da fare, e ciò che si dovrebbe fare non è chiudere tutto, ma consentire alle persone di vivere e di lavorare pur rispettando i protocolli di sicurezza. In molti paesi hanno fatto questo e non stanno certo peggio di noi, visto che l’Italia, nonostante il lockdown cinese a cui ci hanno costretto, ha ancora il primato delle morti per Covid. E’ chiaro quindi che il sistema delle chiusure non funziona e danneggia gravemente la libertà individuale garantita dalla Costituzione.

Ecco così che la democrazia in Italia resta un involucro vuoto, una parola priva di significato. Nella realtà dei fatti questo governo nato da un inciucio vergognoso e non eletto da nessuno ha instaurato una dittatura, approfittando della maggioranza che ha ma soprattutto mistificando la realtà e terrorizzando i cittadini con l’appropriazione dei mezzi di informazione. Certo, la pandemia non l’ha inventata il governo Conte 2, ma ha saputo cavalcarla bene per restare ben attaccato alle poltrone. Quando si procede per DPCM bypassando il Parlamento, quando l’opposizione non viene ascoltata, quando chi non è d’accordo con il pensiero unico imposto dalla televisione viene insultato, sbeffeggiato e bollato con le solite etichette di “fascista”, “razzista”, “omofobo”, “complottista”, “negazionista” ecc. e quindi annullato nel suo potenziale comunicativo, non si può più parlare di democrazia, ma di vera e autentica dittatura. Certo, non è una dittatura come quelle di Mussolini, Hitler e Stalin, non usa il manganello, i carri armati e la fucilazione, perché oggi non ce n’è più bisogno. Non c’è necessità di mettere a tacere i dissidenti con la forza, basta fare in modo che non siano né ascoltati né tanto meno seguiti. Per detenere un potere totalitario basta la televisione, come già intellettuali del calibro di Popper e Pasolini avevano lucidamente previsto.

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Profeti di sventura

Nel I° libro dell’Iliade tra i Greci che stanno assediando la città di Troia scoppia un’epidemia, un po’ come quella di oggi. Allora Achille invita l’indovino Calcante a chiarirne le cause e costui, non senza paura perché sa che offenderà un potente, rivela che il dio Apollo è irato con Agamennone, capo supremo della spedizione, perché ha disonorato il suo sacerdote Crise rifiutando di restituirgli la figlia, che aveva fatto schiava. Allora il potente sovrano, pieno d’ira feroce ma incapace di rivalersi fisicamente sull’indovino perché costui è protetto dal grande Achille, si sfoga contro di lui a parole, urlandogli: “Profeta di sciagure, mai per me tu dici parole di buon augurio; sempre al tuo cuore è caro predire malanni, non dici mai una parola buona!” (vv. 106-108). Così è passato alla storia il povero Calcante, che conosceva il passato ed il futuro e poteva quindi ben rivelare l’ira del dio causa dell’epidemia.
Oggi nessuno ha più il potere di predire con certezza il futuro, eppure i Calcanti non mancano di certo: i profeti di sciagure, gli alfieri del catastrofismo, gli oscuri profeti del male abbondano come non mai. Pare che certe persone abbiano un gusto perverso, sadico, a delineare scenari apocalittici nel futuro per terrorizzare i cittadini e togliere loro quel minimo di tranquillità e di serenità che rende meno amara la vita di ciascuno di noi. E’ una triste abitudine da sempre presente nel nostro Paese, dove il pessimismo più nero trova sempre fertile terreno. Gli esempi sono innumerevoli e mi limiterò a citarne qualcuno. Nel lontano 1973, quando ci fu la crisi petrolifera e ci fu imposto di non usare auto e altri mezzi a motore la domenica e i giorni festivi, lessi un articolo su un giornale nazionale di grande tiratura nel quale un esimio giornalista dichiarava che il petrolio di lì a dieci anni si sarebbe esaurito, con la conseguenza di veder bloccare del tutto il progresso e dover tornare al Medioevo, con le carrozze a cavalli al posto delle automobili. Lo diceva con sicurezza assoluta, avrebbe convinto chiunque: eppure oggi, a distanza di ben 47 anni, non solo il petrolio c’è ancora, ma ne è perfino diminuito fortemente il prezzo perché la produzione supera di gran lunga la domanda, e se si cercano fonti energentiche alternative non è per timore dell’esaurimento, ma per evitare l’inquinamento e le conseguenze della combustione sull’ambiente.
Altro esempio di catastrofismo imperante nel nostro Paese sono le previsioni che gli “esperti” avanzano sull’economia, dove è facile predire sciagure di tutti i generi. Ricorderò solo un caso per non appesantire questo post, ma ve ne sarebbero a iosa. Nel 2014 Beppe Grillo, prima comico e poi illustre politico e fondatore del partito attualmente di maggioranza relativa, dichiarò che con il governo di allora entro pochi mesi (cioè da aprile, quando rilasciò quell’intervista, a settembre) lo Stato non avrebbe più avuto i fondi per pagare stipendi e pensioni. Lo diceva con estrema convinzione, affermava di averne le prove, tanto che anch’io – pur non avendo nessuna stima né per lui né per la sua banda di incompetenti – mi preoccupai; ma non successe nulla, e lo stipendio continuò ad arrivarmi sempre, come mi è arrivata sempre (almeno fino ad oggi) la pensione. Ma previsioni del genere ce ne sono state e ce ne sono molte altre, tutte senza alcun fondamento ed al solo scopo di terrorizzare e mettere in allarme le persone, con quel gusto sadico di cui dicevo prima. La stessa cosa, seppure in tono minore, la constatiamo nei periodi dell’anno in cui il tempo atmosferico è più inclemente e viviamo momenti eccezionali per il freddo o per il caldo: in questi casi i giornalisti televisivi non tranquillizzano mai le persone con l’annuncio di un cambiamento positivo, si divertono anzi a demoralizzarci prevedendo ulteriori peggioramenti: se fanno 40 gradi ci dicono sempre e comunque che la situazione non accenna minimamente a migliorare, ma si arriverà a 45 gradi, magari a 48, tanto per farci stare allegri. E’ un gioco che da noi trova tanti ed appassionati giocatori.
Ma arriviamo al presente, cioè l’epidemia di coronavirus. I dati che ci vengono forniti, e che i profeti di sciagure ignorano volutamente, ci dicono che il virus se ne sta andando e che la situazione è enormemente migliorata rispetto al picco di circa due mesi fa: il numero dei contagiati si è ridotto a meno di un terzo, i guariti sono ormai oltre l’80 per cento del totale, le persone ricoverate in terapia intensiva sono circa 400 contro gli oltre 4000 che erano. Non solo, ma illustri medici che ogni giorno osservano la situazione reale negli ospedali ci dicono che il virus si è indebolito e che chi si ammala adesso non ha più gli effetti drammatici che si manifestavano all’inizio dell’epidemia. Dunque, di fronte a queste buone notizie, tutti dovrebbero rallegrarsi e auspicare un allentamento definitivo delle misure coercitive che ci hanno tenuti chiusi in casa con la forza (denunce, multe, droni, un clima orwelliano) e che ancora adesso impongono regole e protocolli eccessivi che impediscono agli esercenti di poter lavorare e ai cittadini di tornare ad una vita normale. E invece no! I profeti di sciagure, siano essi virologi televisivi, politici o giornalisti vari, continuano imperterriti a delineare scenari apocalittici per impaurire le persone, per tenerle prigioniere di una cappa di terrore che impedisce alla gente di respirare: bisogna stare attenti, il virus c’è ancora, occorre cautela, non si possono vanificare gli sforzi fatti ecc. E’ un ritornello che ci sentiamo ripetere tutti i giorni, in tutte le regioni d’Italia, anche dove il virus non c’è e di fatto non c’è mai stato se non in singoli focolai che sono stati da tempo domati. E c’è anche chi, come l’esimio scienziato Brusaferro, già agita lo spauracchio di una seconda ondata, o forse di una terza o una quarta, non so. Ora io dico: ma se di questo virus si sa ancora poco, la malattia che produce è ancora in gran parte sconosciuta, come può questo nuovo Calcante essere così sicuro che ci sarà un’altra ondata? Gliel’ha forse rivelato un sogno premonitore? O non ci sarà piuttosto un accordo tra scienza ufficiale e politica per tenere in pugno i cittadini, sapendo che la paura è il miglior strumento per schiacciare le masse e tenerle prone e obbedienti agli ordini che vengono dall’alto? Ecco, l’ho detto: quello è ciò che sospetto io e che ho sospettato fin dall’inizio, che cioè il virus esista davvero ma che esista anche chi se ne serve per scopi non proprio umanitari. E c’è poi da aggiungere che dietro tutto ciò c’è anche il business del vaccino che, se verrà realizzato, farà guadagnare miliardi alle case farmaceutiche e ai funzionari che ne sono affiliati. Questo può spiegare il terrorismo psicologico di chi ci vuole ancora e per sempre preoccupati e disorientati? Non lo so, ma so che a pensar male si fa peccato ma qualche volta ci si azzecca.

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Un’opinione sulla prof. di Palermo

Con tutto il clamore che si è fatto in questi giorni sul caso della sospensione di 15 giorni inflitta alla prof. Dell’Aria di Palermo, viene spontaneo a chi ha un blog come il mio di esprimere il proprio parere; non perché conti molto, ma perché ne sento l’esigenza, un po’ come l’antico poeta Giovenale diceva di scrivere satire non per ispirazione ma perché il vizio era talmente diffuso nella società romana da non poter fare a meno di commentarlo. In effetti è stato detto in TV e sui social tutto il possibile su questa professoressa di italiano di un istituto tecnico di Palermo, la quale ha subito un provvedimento di sospensione dal servizio, con lo stipendio ridotto a metà, per non aver sorvegliato adeguatamente i suoi alunni e non aver impedito loro di fare un video in cui il decreto sicurezza del ministro Salvini viene accostato alle famigerate leggi razziali del 1938 emanate dal governo fascista.
A mio parere il provvedimento preso contro l’insegnante è fuori luogo, per due motivi: primo, perché siamo in campagna elettorale e vicinissimi alle elezioni, per cui chi ha avuto l’idea avrebbe dovuto prevedere il vespaio che ne sarebbe derivato, con tanto di appelli agli art. 21 e 33 della Costituzione, con le solite lamentele sulla “censura” che vi sarebbe contro gli insegnanti ecc.; secondo, perché non ci sono prove certe che sia stata la professoressa a istigare negli alunni le assurdità che hanno messo in quel video. L’insegnante, interrogata dai giornalisti, si è detta dispiaciuta per il provvedimento a suo carico e per il clamore suscitato dalla vicenda, affermando la sua totale disponibilità ad accettare tutte le idee e la sua volontà di contribuire alla formazione negli alunni di un pensiero critico, senza ulteriori condizionamenti. Da parte mia non ho difficoltà a credere alle parole della collega e ad accettare la sua buona fede; pertanto, se i suoi studenti hanno allestito quel video con quei contenuti, può darsi che la causa di ciò vada ricercata altrove. Del resto un docente non può controllare o inibire tutto ciò che fanno o pensano i suoi alunni, e non è detto che sia personalmente d’accordo con loro. Non vedo motivi cogenti per mettere in dubbio le parole dell’insegnante, la quale può aver pensato che i suoi alunni, pur essendo minorenni, fossero già in grado di assumersi la responsabilità delle proprie azioni.
Il problema secondo me è un altro: i ragazzi che vanno a scuola, come e più degli adulti, restano condizionati da ciò che vedono in televisione o che leggono sui social, che sono diventati oggi per molte persone la principale fonte di informazione. E poiché esiste da mesi, e sempre più con l’avvicinarsi delle elezioni, una violenta campagna di denigrazione e di odio nei confronti del ministro Salvini, che oltretutto comprende numerosi accostamenti e paragoni della sua politica con quella di Mussolini o di Hitler, non c’è da stupirsi se dei ragazzi di un istituto tecnico, con la base culturale non certo eccelsa che hanno, siano rimasti condizionati e plagiati da questo clima. Quando si sentono trasmissioni come quelle della Gruber o di Fazio, tanto per comprendere sia la TV di Stato che la privata, che sono dall’inizio alla fine una serie di accuse senza contraddittorio contro un ministro regolarmente nominato, il quale viene bollato con tutti i peggiori titoli di fascista, razzista, sovranista, populista ecc., è normale che tante persone credano a quel che viene loro propinato a senso unico. Quando si leggono sui social i peggiori insulti contro chi sta cercando di difendere i confini nazionali e di ridare all’Italia quella dignità e quella sovranità che questa Europa dei burocrati ci ha tolto, è facile cadere nel tranello di chi spaccia per umanità e carità cristiana quello che è solo un interesse di parte. Ormai l’odio feroce degli avversari ha trovato in Salvini il nemico da abbattere con tutti i mezzi, anche con quello giudiziario. Con lui non dialogano, lo condannano e basta, senza appello, senza neanche cercare di comprendere ciò che, nel bene e nel male, sta cercando di fare. Questa è la strategia della sinistra radical-chic: niente dialogo, solo insulti e disprezzo. L’hanno fatto con Berlusconi per vent’anni e adesso lo fanno con Salvini, senza che a nessuno venga il sospetto che questa tattica sia sbagliata e che possa anche trasformarsi in un boomerang che ritorna contro chi l’ha lanciato. In questo clima vergognoso di caccia alle streghe è naturale che degli studenti si siano lasciati condizionare e abbiano paragonato un decreto di oggi alle leggi razziali del 1938, visto che hanno quei maestri di cui dicevo prima. Non c’è da meravigliarsi di quanto accaduto, visto che ad ogni livello la sinistra – compresi i suoi celebri “intellettuali” come Canfora, Luperini ed altri – continua ancor oggi nel 2019 a parlare di “fascismo” dopo 74 anni dalla fine di quel regime solo perché le fa comodo inventarsi un nemico che non esiste più per tenere in vita e giustificare un’ideologia ed una politica fatta di odio. Se celebri intellettuali credono alla fandonia del fascismo, che meraviglia c’è se a crederlo sono ragazzi di quindici o sedici anni?
Per questi motivi io ritengo che la professoressa non abbia colpa direttamente di quanto accaduto, che è invece del clima avvelenato diffuso in questi tempi. Il problema della politica nella scuola però esiste e non è certo limitato a quell’istituto di Palermo: sono cinquant’anni, dal ’68 in poi, che nelle scuole molti docenti hanno cercato e cercano di indottrinare i loro alunni e uniformarli alle loro idee, con un comportamento che io giudico distorto e delittuoso, chiunque lo metta in pratica, sia di destra o di sinistra. La scuola dovrebbe essere un luogo di formazione del pensiero critico ed il docente una guida ed un tramite essenziale per raggiungere questo obiettivo, senza però che cerchi di plagiare gli studenti e senza che metta in pratica (come più volte è successo) comportamenti addirittura penalizzanti per chi ha una visione della realtà diversa dalla sua. Io ho sempre avuto le mie idee, che traspaiono abbastanza da ciò che scrivo adesso, quando sono in pensione e non più a contatto diretto con gli studenti; ma finché sono stato in servizio ho sempre accettato tutti gli orientamenti dei miei alunni e non ho mai cercato di indottrinare nessuno. Del resto, insegnando latino e greco con poche ore settimanali, non avrei avuto neanche il tempo di divagare dagli argomenti che dovevo svolgere ed ai quali mi attenevo. Questo merito almeno me lo posso attribuire, ed i miei ex studenti che ancora mi contattano me lo hanno sempre riconosciuto.

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Il dilagare della violenza

Viviamo un periodo piuttosto preoccupante, a quanto sentiamo dalle cronache, un periodo in cui la violenza – materiale e verbale – ha raggiunto livelli intollerabili per una nazione civile. La simpatica vignetta qui apposta si riferisce al mondo della scuola, dove sono di recente aumentati di molto gli episodi di violenza nei confronti dei docenti: un alunno ha sfregiato il volto di una professoressa con una coltellata, un altro ha colpito con un pugno un’altra insegnante, un altro ancora ha riempito di insulti e bestemmie il suo professore perché gli aveva fatto cadere a terra il cellulare, senza poi contare le violenze dei genitori che hanno colpito sia docenti che dirigenti e vicari. Ma perché siamo arrivati a questo punto? Le ragioni principali di questa barbarie emergente le ho enunciate nei post che precedono questo, e sono quelle in cui ho sempre creduto: perdita di autorevolezza della classe docente dovuta alle farneticazioni del “mitico” ’68 ed alle leggi che ne sono derivate, dal 1977 al 2000 con il famigerato “Statuto delle studentesse e degli studenti” di Berlinguer, perdita dei valori fondamentali della nostra società come quello della famiglia, profondamente mutata negli ultimi decenni e gravata da un disarmante buonismo che fa sì che i figli abbiano sempre ragione nei confronti dei loro insegnanti. Ma non è tutto: la civiltà di internet e dei social, che ha dato strada a tutti i peggiori istinti delle persone, ha fatto in modo che l’insulto, la violenza verbale, l’odio apertamente espresso siano diventati normali e consueti nella nostra vita di tutti i giorni, mentre la cortesia ed il rispetto sembrano diventate categorie vecchie e superate, retaggio di una civiltà al tramonto. Così la rozzezza, l’incultura, la volgarità sono entrate a pieno titolo nella nostra vita, tramite anche il bell’esempio che dà la TV dove litigi, insulti e parolacce sono all’ordine del giorno. Dalla violenza verbale poi, una volta perduti i freni della ragione e della civiltà, si passa facilmente a quella fisica, ed ecco quindi spiegati gli inaccettabili fenomeni criminali che sono avvenuti nelle scuole. E siccome siamo in una società buonista, una società che non vuol sentir parlare di provvedimenti e punizioni, la situazione è destinata a peggiorare; così tra breve, accettando il suggerimento del buon presidente americano Trump, dovremo andare a scuola armati per contrastare questi fenomeni. Ovviamente questa è una battuta, perché soltanto un idiota poteva avanzare quella proposta, e per me il soggetto è tale anche se è l’uomo più potente del mondo; però una soluzione va trovata, perché non si possono tollerare episodi simili. La mia proposta sarebbe semplice: bocciatura in tronco ed espulsione da tutte le scuole d’Italia, senza possibilità di appelli o ricorsi, per gli studenti che si rendono responsabili di tali comportamenti; denuncia penale obbligatoria per i genitori e condanna a tre-quattro anni di carcere senza condizionale né sconti di pena. Credo che agendo così il fenomeno finirebbe subito, perché contro chi usa la violenza come mezzo di interazione con altre persone porgere l’altra guancia non è certo un rimedio appropriato. E’ sconsolante dirlo, ma credo che soltanto le soluzioni di forza possano avere una qualche efficacia verso individui simili. Purtroppo, quando si sa per certo che si resterà impuniti, non si avrà alcun inmpulso o interesse ad astenersi dal fare il male.
Lo stesso ragionamento vale per la violenza politica, riesplosa pesantemente durante questa campagna elettorale. Lasciando stare le infamie e gli insulti scritti sui social e pronunciati da certi politici (ed in ciò i 5 stelle sono maestri!), voglio qui riferirmi alla violenza fisica, quella che si è manifestata durante gli ultimi cortei cosiddetti “antifascisti”. Il fatto curioso di questi eventi è che i suddetti cortei volevano protestare contro presunti rigurgiti di “fascismo”, mentre chi ha ferito gli agenti di polizia e devastato le città sono stati proprio gli antifascisti, i cosiddetti “antagonisti” (ma antagonisti di chi?), i giovani di estrema sinistra dei centri sociali. Del comportamento criminale di queste persone non mi stupisco, perché è dagli anni ’70, da quando frequentavo l’università, che sono abituato ad assistere alla violenza della sinistra extraparlamentare ed al terrorismo che è venuto da quella parte politica; ma adesso è imbarazzante, per gente come la Boldrini, Grasso, D’Alema e compagnia bella, parlare di “fascismo” (che non esiste più) e dover ammettere, perché non possono fare diversamente, che la violenza cieca e vigliacca che picchia i carabinieri a terra viene proprio dai figli di papà dei centri sociali e dalla loro parte politica, cioè la sinistra.
Da quanto di recente avvenuto mi pare evidente che il voler risuscitare ad ogni costo il fascismo, un movimento politico che appartiene ormai alla storia e che si è concluso nel 1945, sia un misero tentativo di allontanare l’opinione pubblica dai veri problemi del Paese che la sinistra non è riuscita né riuscirà mai a risolvere, oltre che la volontà di avere un “nemico” contro cui scagliarsi per poter nascondere le proprie contraddizioni. Se qualcuno fa violenza, sia di destra o di sinistra o di chicchessia, va punito pesantemente e basta, senza fare sconti a nessuno; ma fondare il dibattito politico, oggi nel 2018, sulla contrapposizione fascismo-antifascismo, è patetico e anacronistico. La storia non torna indietro, e negli ultimi 70 anni le società occidentali e le relazioni internazionali sono talmente cambiate da avere ben poco in comune con eventi e situazioni ormai vecchie quasi di un secolo. Gli altri paesi europei (Francia, Inghilterra, Germania) hanno ormai fatto i conti con il loro passato, il dibattito politico si fonda sul presente e sul futuro; ma da noi, purtroppo, i fantasmi del passato non vengono mandati in pensione perché fanno comodo ancora oggi a chi non ha altri argomenti se non tirare fuori il solito vecchio ritornello del “fascismo”. La violenza va combattuta ed eliminata da qualunque parte provenga: a questo pensino i signori politici, e ad affrontare i veri problemi del presente, senza attribuire ad altri etichette e marchi infamanti che appartengono ad un passato remoto e non hanno più alcuna ragione di esistere.

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Giustizia per Mauro Monciatti

Ricorre oggi esattamente un anno dalla morte di Mauro Monciatti, un importante funzionario dell’ambasciata italiana a Caracas (Venezuela) ucciso in circostanze mai chiarite, un evento sul quale la famiglia e gli amici stanno ancora aspettando che si faccia chiarezza e si sappia la verità. Io appresi la notizia da un giornale locale e ne restai molto colpito, soprattutto perché conoscevo Mauro dai tempi del liceo che avevamo frequentato insieme (lui aveva un anno più di me) e me lo ricordavo per averlo rincontrato dopo trent’anni circa, durante i quali egli aveva dimorato in varie capitali estere proprio in virtù della sua professione. Mi ricordo che mi disse di essersi sposato da poco e di avere due bambini ancora piccoli, e che la sua attività l’avrebbe portato a trasferirsi in Africa o forse in Sud America, cosa che purtroppo è avvenuta e gli è costata la vita.
Sulla morte di Mauro a Caracas ci sono molti sospetti, fatti propri dalla sua famiglia. Mentre le autorità locali hanno liquidato la circostanza dicendo (falsamente) che la morte era avvenuta per cause naturali, c’è chi ha sospettato che si sia trattato di un delitto maturato nel clima torbido della città venezuelana e forse voluto da chi voleva chiudere per sempre la bocca ad una persona che sapeva troppo; pare infatti che Mauro avesse denunciato, fin dal suo arrivo a Caracas, degli ammanchi di bilancio verificatisi nella stessa ambasciata italiana, sulla quale continuano a gravare i sospetti della famiglia e dell’intera comunità di Sinalunga (Siena), sua cittadina di origine dove di recente è stata organizzata una marcia pubblica in sua memoria. Ovviamente io non sono al corrente di come siano andate le cose e quindi non mi pronuncio; ma è veramente strano che, a un anno dalla morte, non si sia ancora fatta chiarezza sul delitto e si continui ad insabbiare e ostacolare le indagini.
Al di là del dolore per la morte di una degnissima persona, che io ho conosciuto e apprezzato, quello che mi viene da pensare è che in Italia ci siano sempre i soliti privilegiati e che sia la giustizia che la politica (ed anche la stampa) funzionino a due velocità: in certi casi si fanno ricerche a tutto tondo per stabilire la verità e si proclamano le notizie in TV e sui giornali, in altri casi cala dappertutto un silenzio omertoso su eventi di uguale rilevanza, che non s’intende perché debbano essere sottaciuti in questo modo. Noi tutti sappiamo quale rilievo è stato conferito al caso Regeni, il ricercatore italiano ucciso in Egitto. A me va bene che se ne sia parlato, che giornali e TV continuino ad occuparsene; ma perché non è stata fatta la stessa cosa per Mauro Monciatti, un diplomatico italiano ucciso a Caracas in circostanze misteriose la cui vicenda, con tutto il rispetto, non è certo meno importante di quella di Regeni? Invece sul caso Monciatti è calato il silenzio completo: la notizia della sua morte fu riportata solo dai giornali locali, mentre i TG nazionali la ignorarono completamente. Il Ministero degli Esteri, da me interpellato con una mail, mi rispose che stavano facendo indagini (quali?) e che non avevano alcun controllo sulla stampa. Quest’ultima affermazione mi risulta molto strana: un dicastero importante come gli Esteri, io credo, può ben dare rilievo a una notizia e farla trasmettere dagli organi di informazione. Qui invece tutto lascia pensare che vi sia stata la deliberata volontà di insabbiare l’evento, forse per proteggere qualcuno o per altro motivo che non voglio neanche ipotizzare. L’assassinio di un diplomatico italiano di un’ambasciata all’estero, oltretutto investito di compiti come la revisione del bilancio della sede diplomatica, non è una notizia da poco, considerato anche il fatto che la TV ci informa molto spesso anche su eventi sciocchi e del tutto fatui (vedi l’uscita di un nuovo album di Vasco Rossi, per esempio). Perché questo evento è stato insabbiato e non si è mai fatta giustizia, né verità, per il povero Mauro? Io vorrei saperlo, e credo che ne avrei il diritto, se siamo veramente in un Paese libero e democratico; ma credo che più di me ne avrebbero diritto la moglie, i figli, il fratello e gli altri parenti e amici che da un anno stanno inutilmente aspettando che qualcuno si occupi del loro caso. Questa non è giustizia né democrazia, e sempre più io ho l’impressione di trovarmi in un Paese ormai “pilotato” da certe lobby e certi gruppi che fanno il bello e il cattivo tempo ed usano TV e giornali come una volta si usavano il manganello e l’olio di ricino, cioè per chiudere la bocca ai dissidenti e diffondere il pensiero unico.

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L’infimo livello della nostra TV

Come tutti sanno, la televisione è un grande strumento di trasmissione di idee e di cultura, tale da poter cambiare persino il sentire comune e la mentalità di un popolo intero. Anche se oggi ci sono altri mezzi di informazione come il web, la televisione resta sempre il mass-media più importante e capillarmente diffuso, dato che entra nelle case di tutti gli italiani, anche di quelli che non navigano su internet e magari non hanno nemmeno mai acceso un computer. Considerata l’enorme rilevanza di questo moderno strumento di diffusione delle idee, ci si dovrebbe attendere ch’esso fosse gestito in modo razionale ed equilibrato, di modo da svolgere meglio possibile l’importante ruolo che ricopre nella società attuale. Mentre nel mondo antico si andava ad ascoltare l’oratore che arringava la folla nel Foro, nel Medioevo si ascoltavano i frati predicatori e nell’età moderna presero forte campo il teatro e la carta stampata, oggi invece le notizie dal mondo e i dibattiti politici capaci di influenzare le masse si svolgono quasi esclusivamente in televisione.
Ho detto che la TV, soprattutto quella di Stato e cioè la RAI, andrebbe gestita con raziocinio, perché veramente potrebbe diventare ed essere ad ogni effetto uno strumento di progresso. E invece, almeno in Italia, questa gestione è pessima, né potrebbe immaginarsene una peggiore. Vediamo quali sono, a mio parere, le gravi mancanze della RAI ed il suo venir meno a quella che dovrebbe essere la sua principale finalità; non considero invece le TV commerciali perché, come dice il loro stesso nome, hanno una funzione di puro asservimento alle leggi del mercato, né possono tener conto di altro che non sia il guadagno derivante loro dalla pubblicità. Una TV di Stato invece, a mio giudizio, dovrebbe avere come obiettivo non tanto l’audience cioè il numero di persone che guardano un certo programma, quanto la qualità, cioè l’elevazione culturale e civile delle persone che usufruiscono di questo mezzo. Ed è appunto qui il maggior difetto della nostra TV: il bassissimo livello culturale dei programmi che vanno in onda nelle fasce orarie di maggiore ascolto, programmi in cui abbonda la volgarità, il vano sproloquio, una comicità di bassa lega, il nulla insomma. Non è che i programmi culturali non esistano affatto, ma quei pochi che ci sono vengono trasmessi in orari impossibili, tanto da renderne l’ascolto ancora più basso di quanto ci si potrebbe attendere. Domenica notte ad esempio, alle 1,30 di notte, è stata trasmessa su Rai1 l’opera Nabucco di Verdi, la cui conclusione arrivava addirittura alle 4 del mattino! C’è da chiedersi: quante persone l’avranno seguita? Io stesso ho dovuto rinunciare, perché non si può fare un’intera notte in bianco per seguire un programma di nostro gradimento, con un certo valore culturale. Se è vero che l’opera lirica (ma si può dire lo stesso del teatro di prosa, dei documentari storici, del cinema impegnato ecc.) interessa a non molte persone, la funzione della TV sarebbe quella di aumentare questo numero, in modo da diffondere la cultura; e invece fanno il contrario, ci propinano programmi insulsi e volgari nelle ore in cui possiamo seguirli, mentre quelli di maggior profilo vengono trasmessi (quei pochi che ci sono) in orari antelucani! Tutto questo perché ai signori della RAI interessano solo gli aspetti quantitativi (e quindi economici) di ciò che mettono nei palinsesti (ma lo sanno il significato di questa parola?), ed anche perché aumentare l’ignoranza, di cui c’è già gran copia nella nostra società, significa avere cittadini proni di fronte a tutto ciò che viene loro propinato, mentre la cultura e lo spirito critico sono troppo pericolosi per un potere che si adegua e si sottomette al mercato e alla dittatura di questa Europa che ci schiaccia con i suoi diktat.
Al bassissimo livello culturale dei programmi TV fa da contorno anche un’esagerata presenza della pubblicità, invadente e fuorviante al punto che persino i film e gli spettacoli di ogni genere vengono interrotti ogni dieci minuti con fastidiosissimi spot pubblicitari. Questa pessima consuetudine, contro cui Federico Fellini lottò inutilmente per anni, potrebbe giustificarsi, semmai, nelle TV commerciali, dove la pubblicità rappresenta il principale o l’unico introito; ma la RAI ha il canone, che paghiamo regolarmente tutti gli anni e che dovrebbe servire proprio per elevare la qualità dei programmi e non soffocarci con questo continuo e snervante martellamento pubblicitario. Questa, secondo me, è una vergogna vera e propria della nostra TV pubblica, la quale non solo ci propina programmi scadenti, ma ci fa continuamente il lavaggio del cervello con una pubblicità insistente e ripetuta che è francamente disgustosa e che farebbe venire al comune cittadino l’impulso a non comprare nessuno dei prodotti così pubblicizzati; a quanto pare, tuttavia, si verifica il contrario, perché l’aumento massiccio degli spot in RAI dimostra che le aziende produttrici hanno il loro tornaconto ad assecondare questa violenza psicologica, i cui costi recuperano aumentando il prezzo dei prodotti. Perciò la pubblicità danneggia due volte il cittadino, perché lo assilla mentre guarda la TV e aumenta i costi di tutti gli oggetti di facile consumo.
Nonostante il fiume di denaro che la RAI incassa con il canone e la pubblicità, il livello dei programmi TV continua ad essere infimo, e peggiora di anno in anno: gli spettacoli di varietà, ad esempio, sono sempre esistiti, ma non si può paragonare l’affabilità e la piacevolezza dei comici di un tempo con la sguaiataggine e la volgarità di quelli attuali. E c’è anche un’altra grave mancanza commessa dalla RAI, oltre a quelle già dette, ai danni dei cittadini: l’assenza cioè dei programmi di maggior gradimento dalla fine di maggio a settembre inoltrato. C’è da chiedersi, a tal riguardo, se i signori della TV pensano che gli italiani vadano tutti in ferie per oltre tre mesi all’anno, visto che nel periodo estivo vengono trasmesse quasi solo repliche e insulsi telfilm americani. Mi chiedo questo perché la verità è tutto il contrario, nel senso che ci sono milioni di persone che non vanno in vacanza, e anche chi ci va non vi resta certo per tre mesi e mezzo! Ma per loro e per i loro beniamini, pagati in modo osceno magari per condurre (spesso male) trasmissioni di un’ora, sono indispensabili le vacanze, quelle sì di tre mesi o più. Tenendo conto di questo sarebbe giusto, a mio parere, che i cittadini pagassero solo due terzi del canone TV, perché un terzo dell’anno (da fine maggio a settembre) la RAI ci offre solo, o quasi, le avventure del commissario Montalbano o di don Matteo, che ormai molti sanno a memoria perché le hanno viste replicate per la sesta o settima volta.

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Osservazioni sulla crisi

In questo periodo di mezza estate, quando si è liberi da pressanti impegni di lavoro, viene da riflettere su argomenti di più ampio respiro come l’economia, la politica o altro. Durante le mie poche vacanze, girellando in alcuni luoghi della mia regione perché quest’anno, a causa soprattutto del maltempo, non ho fatto lunghi viaggi, mi sono posto delle domande circa la famosa crisi economica che ci travaglia da sei anni a questa parte. Si dice che sia la congiuntura più grave dalla fine della seconda guerra mondiale, che tutti i paesi ne soffrano e che il nostro ne sia particolarmente colpito; almeno questo dicono la televisione e i giornali, i comuni mezzi di informazione di cui tutti noi usufruiamo, e non abbiamo noi certo i mezzi per contraddirli. Però, andando in giro in qua e là, la sensazione che ne ho ricavato io in questi anni ed anche in questi ultimi tempi è completamente diversa, tanto da lasciarmi sconcertato. Vediamo il perché.
Cominciando dal traffico automobilistico, vediamo ch’esso è sempre più congestionato: file di automobili ovunque, trovare un parcheggio è una fatica peggio di quelle di Ercole, tempi di percorrenza sempre più lunghi, tanto che se ci si deve recare in un luogo che normalmente, se la strada fosse libera, si raggiungerebbe in mezz’ora, in queste condizioni occorre mettere in conto almeno un’ora. Ma, dico io, con quello che costano i carburanti, se ci fosse davvero tutta questa crisi che dicono, ci sarebbero tante macchine in giro? Io me lo chiedo e non trovo una risposta. La stessa cosa vale per i luoghi di villeggiatura, in particolare alberghi e ristoranti: non si trova un posto a pagarlo oro, se non si è prenotato almeno un mese prima. E allora, perché parlano di crisi tanto nera, di tante famiglie che non arrivano a fine mese? Se fosse così i ristoranti sarebbero vuoti, perché per un pasto decente occorrono almeno 30 euro a persona, se non di più. Invece sono pieni, checché se ne dica, e nonostante che il povero Berlusconi, che aveva fatto questa affermazione anni fa, sia stato messo in croce per questo. Invece aveva ragione, i ristoranti sono pieni, e quelli di lusso più degli altri.
Io non so se la mia provincia, la mia regione (la Toscana) sia particolarmente ricca e benestante, ma io tutta questa crisi, tutta questa miseria che dicono, non la vedo e non l’ho mai vista. Noto che le persone fanno esattamente la vita di prima: comprano auto, vestiti e beni di valore, fanno vacanze e non si fanno mancare nulla. Per me questo è un mistero da sei anni, da quando la televisione ha cominciato a bombardarci con le roboanti notizie catastrofiche che tanto piacciono ai nostri connazionali, specie quelli che hanno simpatie politiche per i partiti di opposizione e che evidentemente hanno il vezzo, tipicamente nostrano, di vedere tutto nero, di prevedere cataclismi di ogni tipo. Sono le Cassandre del 2000!
Con ciò non intendo negare la crisi di per sé, che certamente esiste, perché le fabbriche e i negozi che chiudono sono dati di fatto, non leggende; ma quel che penso io è che la situazione reale sia stata alterata volutamente in senso negativo, da parte di persone che non perdono occasione per screditare il loro paese, le istituzioni e la classe politica, che amano il disfattismo per fini propri, subordinando a ciò la valutazione oggettiva della situazione reale. In poche parole, almeno stando a quel che vedo, la crisi c’è ma, almeno a me, sembra molto meno grave di quanto ci viene propinato dai mezzi di informazione; in effetti, se la crisi è questa, non mi pare poi così male, anzi io ritengo che un certo ridimensionamento di consumi eccessivi e voluttuari sia persino un bene, tranne che per chi ci guadagna.
Si è paragonata questa congiuntura economica attuale con la grande crisi dell’America del 1929; solo che allora le persone veramente facevano la fame, oggi continuano tranquillamente ad usare l’automobile e ad andare in vacanza. C’è solo da augurarsi, per il bene di tutti, che continui sempre così, che non vengano tempi peggiori, capaci di far rimpiangere la “grande crisi” degli anni 2008-2014.

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La nostra TV e la truffa del canone

Mi sono reso conto, rileggendo quanto scritto qui sul blog, che negli ultimi tempi ho dedicato tutti i post alla scuola. E’ naturale, visto che al mio lavoro di docente e di studioso ho dedicato tutta la vita, ma in un diario pubblico debbono esistere anche altri argomenti, altrimenti si divenda monotematici e quindi noiosi. Per qualche tempo quindi cercherò di non parlare di scuola (tanto più che siamo in vacanza) e di trattare altre questioni, a meno che non emerga qualche novità clamorosa che mi costringa a ritornare sul mio tema principale.
Voglio pertanto dedicare questo post alla televisione, ed in particolare alla Rai, la TV di Stato. Dico subito che il mio giudizio sulle trasmissioni televisive in genere è molto negativo: il livello culturale è bassissimo, predominano programmi sciocchi e ad uso degli analfabeti, le uniche trasmissioni interessanti vengono proposte a orari impossibili e notturni, la volgarità e il turpiloquio dilagano, e altre perle di questo tipo. In altre parole, la televisione italiana, secondo me, è di infimo livello, e ciò riguarda anche i programmi giornalistici a cominciare dai telegiornali, dove si sprecano le banalità, dove non viene dato il giusto rilievo alle notizie importanti e si spreca invece tempo per fatti del tutto irrilevanti; manca inoltre quell’obiettività che si richiederebbe a un’azienda come la RAI che, attraverso il canone, è pagata da tutti i cittadini. Ma la cosa peggiore secondo me, quella che abbassa infinitamente la qualità dei programmi, sta nel fatto che l’unica cosa che interessa ai dirigenti RAI non è la qualità o il valore educativo e culturale delle trasmissioni, ma il cosiddetto “share” (ma una parola italiana non esisteva?), cioè la percentuale di spettatori che guardano un determinato programma. E questo perché il gettito pubblicitario è direttamente proporzionale al numero (non alla qualità) degli spettatori che guardano in quel momento la televisione. Un tale presupposto, a mio parere, è legittimo nelle televisioni commerciali, per le quali gli introiti pubblicitari costituiscono quasi l’unica fonte di sostegno, ma non per la televisione pubblica, che ha il canone e che quindi dovrebbe guardare alla qualità dei programmi, non al numero degli spettatori. Per questo andrebbero usati i soldi del canone, non per pagare milioni di euro ai conduttori o alle ballerine; del resto la TV, strumento potentissimo di diffusione delle idee perché entra in ogni casa, dovrebbe avere un valore educativo e formativo per i cittadini. Aristofane diceva che, se per i bambini c’è la scuola, per gli adulti c’è il teatro a trasmettere buoni principi e sane idealità; oggi la televisione avrebbe un impatto ancor più elevato del teatro di allora, se solo fosse impiegata nel modo giusto. Invece ciò che si vede in TV contribuisce semmai a diffondere la volgarità, la violenza e l’odio di partito; svolge quindi un ruolo opposto a quello che dovrebbe svolgere, e la RAI è in prima fila in questa deriva diseducativa e indegna di un Paese civile.
C’è inoltre un’altra cosa che mi preme puntualizzare. Perché tutti i programmi, dai quiz ai “talk show” giornalistici, a quelli di intrattenimento, finiscono a fine maggio per riprendere a ottobre, e d’estate vengono trasmesse solo stucchevoli repliche di vecchi programmi (v. “Don Matteo” e “Il medico in famiglia”) e telefilms americani con pistole e gangsters? In pratica, per la RAI, l’estate non esiste, forse perché pensano che tutti vadano in vacanza e che nessuno guardi la TV, così da potersi permettere di sospendere per quattro mesi la normale programmazione e trasmettere solo robaccia trita e ritrita? Forse non sanno che tante persone non vanno in vacanza, oppure, anche se ci vanno, non vi rimangono certo per quattro mesi!
Il canone, però, lo pretendono per tutto l’anno, martellando i poveri spettatori con pubblicità pro-canone da gennaio a marzo. A questo proposito vorrei lanciare una proposta, provocatoria ma fino ad un certo punto: perché, la prossima volta, non paghiamo solo 2 terzi del canone (se sono circa 120 euro, paghiamone 80), visto che per un terzo dell’anno (cioè i mesi da giugno a settembre) praticamente la TV non esiste?

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La scuola e l’opinione pubblica

E’ opinione comune, diffusa fin da tempi remoti, che il problema principale dei professori italiani sia quello economico, poiché molti colleghi si sono lamentati, e si lamentano tuttora, dell’esiguità delle retribuzioni, sostenendo che i nostri stipendi sono miseri e non allineati con quelli dei colleghi degli altri Paesi europei.

Io non mi sento di condividere in toto questa mentalità, ritengo anzi che per certi aspetti noi docenti della scuola pubblica, quindi impiegati statatli, siamo attualmente più fortunati di altre categorie; considerando infatti la grave situazione economica di cui soffre il nostro Paese, è già molto il fatto che noi non corriamo i rischi che ci sono nel settore privato, come quello – gravissimo – di perdere il posto di lavoro. E’ vero che i nostri stipendi sono bloccati da anni, ma è vero anche che più o meno, con qualche sacrificio, siamo riusciti a mantenere il livello di vita che avevamo anni fa, mentre altri lavoratori si sono visti decurtare pesantemente il salario, causa la cassa integrazione, o addirittura l’hanno perso del tutto. Ciò non significa ovviamente che dobbiamo accontentarci o che l’aspetto economico non sia importante: è auspicabile e necessario che si arrivi quanto prima a una revisione delle retribuzioni e ad un nuovo contratto, ma ciò non potrà avvenire se prima l’Italia non esce dal tunnel della crisi economico-finanziaria. Ma su questo punto sono un po’ pessimista, perché le grandi speranze che molti riponevano in Monti e nel suo governo si stanno rivelando illusorie. 

Ciò che più avvilisce una persona come il sottoscritto, che ha dedicato tutta la sua vita alla cultura ed alla formazione dei giovani, d’altro canto, non è l’esiguità degli stipendi, ma la scarsa considerazione che la nostra categoria riceve dall’opinione pubblica. Alcuni colleghi dicono di non dare la minima importanza al problema, e che a loro non importa nulla di ciò che la gente pensa del loro lavoro. A me invece importa, e moltissimo per giunta. A questo riguardo dico e ribadisco che non posso restare indifferente quando assisto a certi servizi giornalistici in TV che riguardano la scuola. A parte il fatto chela TV si occupa di scuola solo per evidenziarne le mancanze e i difetti, mai per sottolineare l’efficacia e l’eccellenza di molti istituti e di molti docenti; ma ciò che dà più fastidio è il tono ironico e beffardo di taluni cialtroni con l’ambizione di essere giornalisti, i quali presentano il nostro ambiente come una specie di baraccone o di spettacolo di varietà. Nei loro servizi vengono blanditi gli studenti e persino esaltati per i loro comportamenti scorretti e illegali (vedi le copiature agli esami), mentre i docenti vengono presentati come una banda di sciocchi che si fanno infinocchiare dagli alunni, oppure come una manica di fannulloni che godono quando la loro scuola viene chiusa per neve, o anche come complici dell’illegalità altrui. Una vera campagna diffamatoria nei nostri confronti è condotta dai giornali e più spesso dai telegiornali Rai, senza che nessuno muova un dito per far cessare questa vergogna, che offende i docenti onesti e preparati, ossia la grande maggioranza di noi.

Da questa scarsa considerazione mediatica deriva anche, in parte, l’aria di sufficienza e di scherno che spesso assumono nei nostri riguardi coloro che ritengono – a torto – di ricoprire in società ruoli e professioni più importanti della nostra. Medici, avvocati, ingegneri, persone laureate come noi e più pagate di noi ma spesso ignorantissime in tutto ciò che non riguarda il loro stretto ambito di competenza, ci guardano dall’alto in basso, come se fossimo esseri inferiori, la cui attività non serve a nulla perché si limita a “chiacchiere”, effettuate oltre tutto in un orario ridotto mentre loro, gli eroi, lavorano tanto di più e tanto meglio. E’ capitato anche a me di incontrare miei ex compagni di scuola, adesso medici, ingegneri o che altro, che mi hanno quasi compatito per la mia professione, ironizzandoci sopra e facendo chiaramente intendere il loro pensiero, cioè che il mestiere dell’insegnante non serve a nulla (perché è la vita che ammaestra, non la scuola!) e non “produce” nulla se non parole al vento. Qualcuno si è spinto persino più avanti, insinuando volgarmente che i docenti maschi, con tante belle ragazze a scuola, abbiano delle intenzioni non proprio didattiche…

E’ vero, si potrebbero ignorare queste voci asinine; ma io, col carattere apprensivo e velleitario che mi ritrovo, non ci riesco, e spesso reagisco con veemenza accentuando così ancor più l’ironia altrui. Il fatto è che chi crede in un ideale al quale ha votato tutta la propria vita non può restare indifferente di fronte alle basse insinuazioni di persone volgari e ignoranti, ancorché laureate. Quando si hanno dei principi viene spontaneo di difenderli e di ribellarsi contro chi li infanga, anche se, sul piano pratico, non si ottiene nulla. D’altra parte, se dall’alto arrivano gli esempi che vediamo e se la TV di Stato è la prima a svalutare e ad offendere la scuola e chi ci lavora, non ci si può aspettare di meglio da chi non sa nemmeno cos’è la cultura, e  si trova a suo perfetto agio in questa società superficiale e tutta dedita alla pura apparenza.

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La TV e la scuola

Non so quante persone leggeranno questo mio post sul blog, ma voglio ugualmente attrarre l’attenzione sul problema di come i giornalisti televisivi affrontano gli argomenti che riguardano la scuola. La loro incompetenza e malafede ha dell’incredibile, e sarebbe addirittura grottesca se non fosse rovinosa, se cioè non inducesse l’opinione pubblica, già maldisposta verso gli operatori dell’istruzione, a costruirsi della scuola italiana un’immagine falsa e del tutto fuorviante.

Lasciamo stare le bestialità dette dai giornalisti tv, e specialmente da quelli della RAI, durante l’anno scolastico: si comincia a settembre con l’ormai rituale polemica sul costo dei libri di testo, che metterebbe sul lastrico le famiglie (peccato che poi queste stesse povere famiglie mendicanti comprano ai loro figli l’I-phon da 500 euro, lo zaino di marca da 200 euro, le scarpe firmate da 150 euro e via dicendo); si prosegue poi con tante altre penose menzogne che siamo costretti a sentire dai giornalisti televisivi, che hanno persino insinuato – durante l’ultimo inverno particolarmente gelido – che i professori sarebbero contenti della chiusura delle scuole per neve, poiché evidentemente – secondo lor signori – noi docenti siamo una banda di nullafacenti che godiamo a non lavorare. Tutto questo è storia recente; ma ciò che mi ha colpito di più è stato un servizio mandato in onda dal TG 2 di oggi 19 giugno a proposito dell’imminente inizio degli esami di Stato nelle scuole superiori. La signora (o signorina) giornalista che ha realizzato il servizio, un’autentica oca giuliva, ha parlato dell’abitudine ormai invalsa degli alunni di copiare agli esami, facendo addirittura una storia di questo malcostume tutto italiano, dall’epoca dei bigliettini nascosti nei vestiti e delle sbirciate sul compito del compagno fino ai recenti metodi resi possibili dalle nuove tecnologie, di cui il più famoso è il collegamento con il cellulare a internet durante le prove per trovare on line la soluzione dei quesiti, che degli autentici lestofanti mettono a disposizione degli studenti sulla rete. Ma se la giornalista si fosse limitata a questo, poco male: sarebbe stata semplice informazione. Invece no, ha fatto di più: ha lodato spudoratamente chi copia agli esami dicendo che meriterebbe un 10 e lode, e ha poi insinuato addirittura che i professori si sarebbero rassegnati a questo malcostume e che spesso, addirittura, strizzerebbero l’occhiolino agli studenti disonesti collaborando con loro. Oltre a queste gravi affermazioni, per le quali meriterebbe una denuncia per apologia di reato, la giornalista ha usato per tutto il servizio un tono ironico e beffardo nei confronti dei professori e della scuola in genere, dando dell’istruzione un’immagine giullaresca, quasi che la scuola non fosse una cosa seria, un’istituzione fondamentale nella vita di uno Stato, ma una sorta di bisca clandestina o un mercatino delle pulci.

Un atteggiamento del genere da parte dei giornalisti non è più tollerabile, e credo che la nostra categoria e le organizzazioni che la rappresentano dovrebbero fare qualcosa per impedire questa gogna mediatica a cui la TV sottopone la categoria dei docenti, presentati come fannulloni, come disonesti oppure, nel migliore dei casi, come dei sempliciotti che si fanno mettere nel sacco dagli studenti “furbi”, i quali vengono blanditi e lodati per le loro imprese. Forse la signorina giornalista non sa che copiare agli esami è un reato vero e proprio, e che l’alunno sorpreso con il cellulare acceso durante la prova deve essere escluso dall’esame; e non sa neppure che il compito della scuola sì, ma anche dei mass-media, è quello di educare alla legalità e non alla furbizia, all’onestà e non alla cialtronaggine, un costume che purtroppo nel nostro Paese non solo è ormai tollerato, ma anche tacitamente approvato e persino ammirato. Io ritengo che questi giornalisti andrebbero radiati dall’albo professionale, se non altro per manifesta ignoranza, giacché non sanno nulla della scuola e dei compiti educativi ch’essa mantiene e che proprio oggi, nella situazione di crisi economica, sociale e soprattutto di valori morali in cui ci troviamo, acquistano ancora maggiore importanza.

Io ho provato più volte a scrivere e-mail alla RAI denunciando l’ignoranza e la cafonaggine dei loro giornalisti, ma non ho mai avuto risposta, nemmeno quando, perduta la pazienza, li ho coperti di insulti. Sono troppo occupati a spartirsi i soldi rapinati ai contribuenti con il canone Rai e a propinarci programmi demenziali e consoni solo all’intelligenza dei loro dirigenti e dei loro giornalisti.

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