E’ inutile che i cosiddetti “postideologici” dicano che oggi la destra e la sinistra non esistono più. Esistono eccome invece, anche se sono diverse da come erano nei due secoli e nei vari decenni passati: corrispondono a due diverse concezioni del mondo, l’una liberale e democratica (tranne Casapound e qualche altro estremista) e l’altra statalista, accentratrice e generalmente poco tollerante delle idee e del pensiero altrui. L’abbiamo ben visto in questi due ultimi anni, quando i governi in gran parte sostenuti dalla sinistra (PD, Leu e i grillini che, come le banderuole, vanno con tutti quelli che assicurano loro le poltrone) con la scusa di combattere il Covid ci hanno chiusi in casa togliendoci tutte le più elementari libertà costituzionali, senza peraltro risolvere il problema del contagio e senza nemmeno tentare soluzioni alternative. Un tempo la sinistra sosteneva in ogni sua forma la libertà, adesso ce la toglie con la dittatura sanitaria.
Ma non è di questo che voglio parlare, quanto piuttosto dell’atteggiamento che i signori della sinistra italiana hanno nei confronti della società e specificamente degli avversari politici, coloro cioè che legittimamente non accettano il pensiero marxista e credono in una società liberale dove l’individuo viene prima dello Stato e ha tutto il diritto di realizzare la sua personalità e di non essere massificato. Quello che vedo adesso nella nostra politica è che la sinistra di un tempo si è divisa in due settori alquanto diversi tra loro, benché abbiano in comune l’odio per gli avversari e la presunzione di essere sempre dalla parte del giusto. Il primo settore è quello dei nostalgici del comunismo, delle barricate, del ’68, della cosiddetta “lotta di classe”, quelli cioè che io chiamo “i nipotini di Stalin”. Costoro, nonostante che i sistemi comunisti abbiano fallito in tutto il mondo e si siano rivelati nient’altro che bieche dittature con sulla coscienza milioni di vittime, continuano a rimpiangere quei sistemi e a inneggiare ai loro miti come la Resistenza e i partigiani (che hanno anch’essi sulla coscienza orrori non inferiori a quelli degli altri) e soprattutto a vedere chi la pensa diversamente da loro non come un avversario con cui dialogare civilmente, ma come un nemico da abbattere, con qualunque mezzo possibile. Per questo, nonostante che il fascismo sia finito da quasi 80 anni, costoro continuano a vedere i “fascisti” da tutte le parti, usano ancora questo titolo infamante per bollare gli avversari; con loro non puoi discutere sui social o altrove, perché appena esprimi un pensiero non collimante con il loro ti applicano subito la famosa etichetta di “fascista”, senza pensare a quanto sono ridicoli. E’ come se in Francia si bollassero gli avversari politici col termine di “giacobino” o “sanculotto”, o come se in America si usassero ancora i termini “nordista” e “sudista”. Il fascismo appartiene alla storia, è un’epoca passata che non può ritornare, ma i nipotini di Stalin continuano ad additare questo pericolo, a tenere in vita un nemico inesistente per far sopravvivere la loro ideologia sconfitta dalla storia. In realtà il marxismo è una religione, laica ma sempre religione, ed ha i suoi templi, il suo Dio sulla terra, i suoi adepti fondamentalisti; e come tutte le religioni è esclusivista, intollerante, carico d’odio verso gli “infedeli”. O la pensi come me o sei maledetto: così si esprimono, tra le righe, i comunisti doc come l’ex presidente della regione Toscana, che definisce Salvini “canaglia politica”. Dalle sue parole traboccanti di odio si nota bene che, se potesse, non esiterebbe ad eliminare fisicamente l’avversario, così come facevano i suoi idoli Stalin, Mao e Pol Pot. Non può, e allora si sfoga con gli insulti.
A questa sinistra miope e becera se ne affianca però un’altra, più raffinata ma altrettanto subdola e carica di odio: quella dei radical-chic, gli pseudo intellettuali che ancora purtroppo occupano quasi tutti i centri di cultura e diffusione delle idee, come la TV, i social, la carta stampata, le scuole e le Università. Costoro si ritengono gli unici depositari della Cultura e della Verità, tanto da considerare idioti, buzzurri, rozzi e (nel migliore dei casi) disinformati tutti coloro che si distaccano dal loro pensiero; e a dir la verità sono riusciti in questo intento, tanto che dal ’68 in poi in Italia non si può essere considerati persone colte se non si è di sinistra, questo ci vuole per ricevere la patente di intellettuale, altrimenti sei solo uno scribacchino o un impostore. Nelle Università si è proceduto per decenni all’indottrinamento marxista, e tanti studenti si fingevano e si fingono di sinistra per poter superare gli esami! La casta radical-chic ha ormai perso del tutto il contatto con i lavoratori ed il cosiddetto “proletariato”, perché i ceti meno abbienti della società, un tempo serbatoio di voti per il PCI, adesso votano Lega o Cinque Stelle; adesso gli intellettuali sinistroidi con la puzza sotto il naso sono ricchi, dalle loro ville di Capalbio e della Sardegna disprezzano le persone di rango inferiore, e si sono dedicati non alla difesa dei lavoratori ma delle cosiddette “categorie svantaggiate” o minoritarie come i gay, gli immigrati, i “diversi” in genere, ed hanno imposto anche da noi il ridicolo “politicamente corretto” che ingabbia il pensiero e costringe ipocritamente anche a nascondere la verità, perché se chiami un cieco “non vedente”, egli con ciò non riacquista la vista. Su questo piano si aggiunge alla battaglia contro i mulini a vento anche l’orda delle nuove femministe, che pretende di declinare al femminile tutti i nomi, come se questo migliorasse la condizione della donna o aumentasse lo stipendio delle lavoratrici. E’ di moda oggi sfondare le porte aperte!
Anche questo secondo settore della sinistra, quello dei radical-chic, è ugualmente implacabile e carico d’odio contro gli avversari, ma lo manifesta in modo diverso dai nipotini di Stalin: anziché l’insulto rozzo e becero utilizza l’arma dell’ironia, del sorrisino beffardo dietro il quale si nasconde un’infinita presunzione di superiorità, il presupposto ideologico secondo cui l’avversario, poiché non la pensa come me, è necessariamente inferiore, misero, disinformato. Quando partecipano a qualche dibattito con persone di centro-destra, tale è l’atteggiamento di questi “intellettuali” o presunti tali: docenti universitari come Asor Rosa o Canfora, “scrittori” (tra virgolette) come Saviano, Carofiglio, la Murgia ecc., giornalisti sussiegosi come la Gruber o la De Gregorio raramente offendono gli avversari, molto più spesso li sbeffeggiano, li ridicolizzano, li guardano dall’alto in basso con un sorrisino di commiserazione, senza neanche tentare – molto spesso – di argomentare e di capire le ragioni altrui. Ma nell’applicare la logica del marxismo sono anch’essi implacabili con quelli che considerano loro nemici: basti vedere come hanno agito con Berlusconi per vent’anni e quello che stanno facendo adesso con Salvini, approfittando cioè di una magistratura corrotta e compiacente per eliminare quegli avversari che non riescono a battere con i mezzi della democrazia. Con questo ignobile metodo non fanno altro che confermare la natura profondamente antidemocratica e intollerante della sinistra italiana, che ha più volte cambiato nomi e persone ma che nella sostanza resta sempre la stessa. Non ci sono più le purghe staliniane, non ci sono più le spranghe e le bottiglie molotov che usavano negli anni ’70 quando io, mio malgrado, mi sono trovato in faccia a loro all’Università, ma il presupposto ideologico di fondo è sempre lo stesso: noi siamo i “migliori”, noi abbiamo la Verità, noi siamo la Giustizia, chi la pensa diversamente è un fascista, un troglodita e se ha una qualche visibilità sociale è un nemico da eliminare, con ogni mezzo. Con i nemici non si discute, li si toglie di mezzo e basta; se non si possono usare le armi vere e proprie, si usano quelle dell’insulto, del dileggio, della diffamazione, dell’emarginazione sociale di chi non accetta il “politically correct”.
Con queste premesse si comprende facilmente che l’Italia è rimasta molto indietro rispetto agli altri Paesi dell’Occidente, dove il dialogo tra avversari politici si svolge con pacatezza e rispetto delle opinioni altrui. Qui siamo rimasti al 1945, alle retorica del 25 aprile, alla fede in un’ideologia che fin dalla sua nascita nel 1848 con il “Manifesto” di Marx ed Engels non prevedeva altro che la conquista violenta del potere e l’eliminazione fisica degli avversari. Negli altri paesi si sono fatti i conti con il passato, da noi la democrazia non è una realtà consolidata, ma solo una parola priva di significato.