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La lingua violentata dal “politicamente corretto”

Si sa che tutte le lingue parlate nel mondo sono soggette ad evoluzione, per cui i vari termini ed espressioni possono cambiare significato e assumere con l’uso accezioni diverse nel corso dei secoli: si pensi, tanto per fare un solo esempio, al termine “bravo”, che nel romanzo manzoniano equivale a “manigoldo, delinquente” e che invece oggi ha un’indubbia valenza positiva. Le trasformazioni semantiche sono quindi un aspetto dello sviluppo naturale della lingua; in certi casi, però, queste variazioni sono ricercate e applicate volontariamente da certi individui o gruppi sociali per ottenere un effetto loro vantaggioso e denigratorio nei confronti di altri individui o entità sociali loro opposti.

Ecco quindi nascere il cosiddetto “politicamente corretto”, che dall’America sua terra di origine si è poi diffuso anche da noi. Questo deliberato inquinamento della lingua, col pretesto di salvare la dignità dei “diversi” o comunque di gruppi sociali minoritari, ha finito per stravolgere il senso delle parole e persino per mettere in cattiva luce, con conseguenze anche penali in alcuni casi, chiunque non sia disposto ad accettare queste nuove regole imposte dall’alto. Perciò il cieco si chiama ora “non vedente”, il sordo “non udente”, l’handicappato con malcelata ipocrisia viene detto “diversamente abile”, e via dicendo. Con queste premesse si apre la via alla formazione di un pensiero unico che finisce per mettere all’angolo, con scherno e pubblico disprezzo, chiunque si azzardi a dissentire. Guai oggi a designare con la parola “negro” una persona di colore, benché non si riesca a vedere dove stia la carica offensiva di questo termine, che è stato invalso per secoli senza alcuna remora nella letteratura, nella filmografia, nella vita comune e perfino nelle canzoni. All’improvviso il termine è diventato infamante perché lo si è voluto rendere tale, allo scopo di imporre un nuovo codice linguistico che fosse funzionale agli interessi di certe “lobbies” o schieramente politici.

Le parole sono pietre, si sa; perciò il loro uso, il significato specifico che viene loro attribuito, può influenzare l’opinione pubblica e spingerla ad accettare determinate convinzioni ed a respingerne altre. In Italia la sinistra, che ancora domina in tutti i centri di produzione della cultura e dell’informazione (università, scuola, televisione, giornali, teatro, cinema ecc.), ha messo in atto specifiche deformazioni linguistiche allo scopo di mettere a tacere gli avversari politici con la denigrazione, lo scherno, l’insulto rivolto a tutti coloro che non accettano il “mainstream” da loro imposto all’opinione pubblica. Analizziamo alcuni termini denigratori ai quali il pensiero cattocomunista ha cambiato volutamente l’accezione comune per adattarla ai propri fini politici.

  1. Fascista. Dal significato storico di “aderente a un movimento politico al potere in Italia dal 1922 al 1945” il termine è tenuto artificiosamente in vita per designare tutti coloro che sostengono i partiti di centro-destra, o addirittura coloro che non s’identificano nel pensiero di sinistra.
  2. Razzista. Con questo termine, che indicava chi riteneva la propria “razza” superiore ontologicamente alle altre (vedi il nazismo hitleriano), oggi si intende infamare tutti coloro che si preoccupano di questa crescente invasione di stranieri clandestini, che il buonismo della sinistra vorrebbe accogliere in massa per poi lasciare queste persone nelle strade alla mercé dell’accattonaggio e della criminalità.
  3. Omofobo. Per il pensiero di sinistra indica colui che semplicemente difende la famiglia tradizionale formata da un uomo e una donna, e magari non condivide le adozioni gay e il cosiddetto “utero in affitto”.
  4. Negazionista. Un tempo usato per chi negava la Shoah degli ebrei operata dai nazisti, il termine oggi indica colui che vorrebbe ragionare con la propria testa e non si fida ciecamente della versione ufficiale dei fatti propagandata dalla televisione e dai giornali. Durante l’epidemia di covid l’etichetta infamante era appiccicata a tutti coloro che, pur ammettendo l’esistenza reale della malattia, non erano d’accordo con lo sciagurato lockdown cinese imposto dal narciso Conte e dal boscevico Speranza, oppure coloro che rifiutavano il vaccino. Oggi viene applicato a chi non accetta la versione ufficiale, sostenuta da tutte le tv e dai principali giornali, con cui viene presentata la guerra in Ucraina.
  5. Sovranista. Parola un tempo nobilitante ed equivalente a “patriota”, oggi è diventata invece un insulto, e indica con disprezzo tutti coloro che vorrebbero una maggiore indipendenza e facoltà decisionale del nostro Paese, asservito invece a questa falsa Europa dei burocrati ed all’imperialismo americano. Se Garibaldi, Cavour, Mazzini e Vittorio Emanuele II, che tanto fecero per l’unità d’Italia, avessero previsto quel che avviene oggi, si sarebbero dati all’agricoltura.

Questo stato di cose, che opera scientemente un inquinamento linguistico per imporre un pensiero unico e mettere a tacere ogni opposizione, fa sì che nel nostro povero Paese non si possa più parlare di democrazia e di pluralismo, che di fatto non esistono perché se dissenti dall’opinione prevalente vieni quanto meno sbeffeggiato e ghettizzato. La sinistra al potere (nonostante il governo di centro-destra, più di centro che di destra in verità, che abbiamo) ha di fatto instaurato una dittatura culturale che ha cambiato profondamente la struttura mentale delle persone, annullando i valori precedenti ed imponendo anche con la forza i falsi valori attuali. Di questo asservimento dell’opinione pubblica la lingua è stata uno strumento importante, la televisione il mezzo principale di diffusione del pensiero unico. Già Pasolini, oltre cinquant’anni fa, era consapevole della potenza del mezzo televisivo, che a suo parere aveva cambiato la mentalità delle persone assai più della dittatura fascista. Ed anch’io penso che se Mussolini, Hitler, Stalin o qualsiasi altro dittatore esistesse oggi non ricorrerebbe più al manganello, ai campi di concentramento o ai gulag: per addormentare il dissenso gli sarebbe sufficiente il controllo della televisione e di alcuni giornali e siti web di maggior successo.

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Il marchio d’infamia imposto dal pensiero unico

I regimi dittatoriali del XX secolo come il fascismo, il nazismo, lo stalinismo, usavano mezzi violenti e coercitivi per reprimere il dissenso, e per questo sono da tutti considerate dittature esecrabili da condannare, nelle quali è vietato individuare anche il minimo e trascurabile aspetto positivo. Eppure, se quei regimi ci fossero oggi, non credo che ricorrerebbero ai gulag, alle torture o alle fucilazioni: basterebbero la televisione, i giornali e i social, che sono strumenti di coercizione psicologica ben più forti della violenza materiale. Le attuali pseudodemocrazie come la nostra se ne servono a piene mani, per diffondere un pensiero unico dal quale non è possibile dissentire, altrimenti si va incontro ad un marchio d’infamia che rinchiude il dissidente in un ghetto fatto di disprezzo, di avversione, di dileggio che lo fanno sentire inferiore, gli tolgono la gioia di appartenere ad una comunità e di poter esprimere liberamente le proprie convinzioni. Sotto questo aspetto la nostra “democrazia”, che con tanta buffonesca pompa viene esaltata dalla gonfia retorica del 25 aprile, è in realtà anch’essa una dittatura, perché il dettato dell’art.21 della Costituzione, che garantisce la libertà di parola, è in realtà vanificato dalla diffusione massiccia di determinate idee e principi che in alcuni casi impongono il silenzio al dissidente (vedi l’ingiustissima legge Mancino, che punisce penalmente chi s’ispira al fascismo e non chi esalta il comunismo, una dittatura ben più bieca e sanguinaria), mentre in altri lo lasciano parlare ma per colpirlo subito dopo con un marchio d’infamia che assomiglia in tutto a quello che nell’antica Roma si applicava agli schiavi fuggitivi, marchiati a fuoco sul volto.

Vediamo quali sono questi marchi d’infamia, queste etichette prefabbricate che, applicate ai dissidenti, sono capaci di escluderli dal dibattito sociale e farli sentire inutili, veri e propri rifiuti della società. Con quello che è successo negli ultimi anni gli esempi sono piuttosto numerosi. Cominciamo da quello più comune, buttato in tutte le salse come il prezzemolo: “fascista”. E’ applicato a tutti coloro che non condividono le idee radical-chic dei comunisti con il Rolex che dalle loro ville di Capalbio pretendono di dare a tutti lezioni di vita basandosi su di una presunta superiorità culturale ed umana. Di seguito aggiungo: “complottista”, detto di tutti coloro che non accettano come oro colato le verità della televisione (per dirla con De André) asservita al pensiero dominante, ma cercano di ragionare con la propria testa. Poi: “negazionista”, che è stato appiccicato addosso a tutti quelli che, pur non negando affatto l’esistenza della pandemia da Covid, hanno osato opporsi alla dittatura sanitaria dello sciagurato governo Conte 2, che prima ci ha tolto tutte le fondamentali libertà chiudendoci per mesi agli arresti domiciliari, poi ha trattato da delinquenti, togliendo loro addirittura il lavoro, coloro che non volevano vaccinarsi, imponendo quindi un trattamento sanitario obbligatorio. E fa ridere, al proposito, che i capi della sinistra parlino di “libertà” il 25 aprile quando stati proprio loro che ce l’hanno tolta con le minacce e la prevaricazione.

Ma i marchi di infamia non sono finiti, ce ne sono almeno altrettanti che vanno ricordati. Il primo è “razzista”, espresso con profondo disprezzo contro tutti coloro che vorrebbero limitare l’invasione indiscriminata degli extracomunitari clandestini. Basta vedere come sono ridotti certi quartieri delle nostre città, vere latrine a cielo aperto, per rendersi conto che il problema esiste ed è anche bello grosso; ma guai a farlo notare, altrimenti il marchio d’infamia ti cala sulla testa come un macigno. Il secondo è “omofobo”, che colpisce come una stilettata alle spalle tutti coloro che considerano famiglia naturale soltanto quella fondata sull’unione tra persone di sesso diverso, e soprattutto non approvano pratiche obbrobriose come la maternità surrogata o “utero in affitto”, dovendosi riconoscere che per un bambino sarebbe preferibile, sia pure non in senso assoluto, avere un padre e una madre. Il terzo, molto diffuso in questi tempi, è “sovranista”, che di per sé non sarebbe una parolaccia ma tale lo diventa nell’uso comune, quando viene marcato a fuoco su persone che deplorano lo stato di soggezione economica e politica del nostro Paese alle potenze straniere, in particolare gli Stati Uniti d’America e l’Unione Europea. Questi poveri illusi che vorrebbero vivere in uno Stato sovrano e indipendente, capace di prendere da sé le proprie decisioni anziché prostrarsi pedestremente ai voleri altrui, non auspicano certamente l’isolamento dell’Italia, ma che almeno si eviti di diventare una colonia straniera come di fatto siamo diventati. Cavour, Garibaldi, Vittorio Emanuele II si sarebbero dati tanto da fare per liberare l’Italia dagli stranieri se avessero saputo che un secolo e mezzo dopo di loro saremmo di nuovo diventati terra di conquista, al punto che nessuno dei nostri governi, nemmeno l’attuale, riesce a renderci la perduta sovranità?

Di fronte poi all’attuale guerra fra Russia e Ucraina è stata creata una nuova etichetta per chi ha delle riserve sulla versione ufficiale dei fatti propinataci indistintamente da tutte le TV, i giornali e le altre fonti di informazione: quella di “putiniano”, cioè sostenitore del capo del Cremlino. Qui posso parlare personalmente: io non ho alcuna simpatia per Putin né intendo assolverlo in nulla, sia ben chiaro; ma sono convinto, come sono sempre stato, che quando c’è una lite o un conflitto, sia tra due persone, due gruppi, due nazioni ecc., è ben difficile che la ragione stia tutta da una parte e il torto tutto dall’altra. Se il personaggio in questione ha preso la sciagurata decisione di invadere un paese sovrano, evidentemente in qualcosa è stato provocato, e non solo dalla politica criminale di Zelensky (un dittatore, non un alfiere della democrazia), ma anche dall’espansionismo della NATO e dalla prepotenza americana, che mira a controllare tutto il mondo ed a ricondurlo all’interno della propria sfera di influenza. Se la NATO si era formata per contrastare l’Unione Sovietica durante la guerra fredda, una volta che il sistema sovietico è crollato avrebbe dovuto sciogliersi, non espandersi fino a porre testate nuclari a poche centinaia di chilometri da Mosca. Se questo vuol dire essere putiniano, allora vorrà dire che lo sono anch’io.

Come si vede, di marchi d’infamia ce ne sono per tutti i gusti, e ne vengono sempre coniati di nuovi per colpire e annientare chiunque si opponga al pensiero unico del “politicamente corretto” , di origine americana ma poi fatto proprio, con tanto zelo, dalla nostra sinistra. E tutto l’apparato informativo, concorde e coriaceo nel sostenere linee preordinate di pensiero e nel propagarle con una determinazione degna del Minculpop e di Goebbels, colpisce con questi anatemi chiunque si opponga, il dissidente è annientato con la violenza dell’insulto, dell’emarginazione, della beffa. I risultati ottenuti, quindi, ci dimostrano che siamo di fronte ad un sistema di potere organizzato e compatto che riesce ad eliminare il dissenso persino meglio di quanto facevano il secolo scorso i manganelli, l’olio di ricino, i campi di concentramento e i gulag. In un sistema politico come questo, dove il dissenso non trova spazio e dove ogni voce dissenziente dal pensiero unico viene messa a tacere, la parola “democrazia” diventa un orpello vuoto che non ha alcun collegamento con la realtà.

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A proposito di omofobia

Oggi, subito dopo il TG1 delle 13,30 e quindi in fascia protetta, è andato in onda uno spot pubblicitario dove una modernissima nonna, nello scoprire che il nipote è gay, mostra una gioia straripante e chiede a lui e al suo “fidanzato” quando si sposeranno. A parte l’evidente forzatura della realtà, poiché vorrei sapere quanti sarebbero nella fattispecie i nonni ed i genitori così contenti nello scoprire l’omosessualità del figlio o del nipote, quel che è assolutamente fuori luogo è l’orario in cui questi spot vanno in onda: a quell’ora sono davanti alla tv i bambini, che hanno tutto il diritto di non essere indottrinati dall’ideologia gay e gender, che si sta cercando di imporre con la forza a tutti, e per giunta senza contraddittorio. E’ veramente disgustoso che la TV di Stato, pagata da tutti i cittadini, faccia una sfacciata propaganda a favore di minoranze che non si accontentano di rivendicare i loro diritti ma pretendono di imporre a tutti il loro pensiero, come avviene nelle dittature, non nelle democrazie. Ormai il pensiero unico si è impadronito di tutti i centri di cultura e di informazione, per cui chi non si adegua è immediatamente bollato con epiteti infamanti e rischia addirittura l’incriminazione (se dovesse passare il ddl Zan) solo per aver espresso la propria opinione.

A me risulta che l’art. 21 della nostra Costituzione non preveda affatto il pensiero unico, né la censura (perché di questo si tratta) contro chi vi si oppone; proclama invece la libertà di opinione e di espressione, ed è quindi limpido e chiaro che nessuno può essere condannato per il proprio pensiero. Oggi invece, se pur non siamo ancora alla persecuzione giudiziaria, chi crede nella famiglia tradizionale e non ama le unioni gay e tanto meno l’adozione di bambini da parte di queste persone, è bollato con il marchio infamante dell’omofobia ed escluso idealmente dal consorzio sociale. Ad esprimere idee contrarie al “politicamente corretto” si ha paura, come si vede dal fatto che anche gli esponenti di gruppi o partiti di orientamento tradizionale fanno fatica a parlare ed in parte si sono dovuti adeguare al pensiero dominante per timore della lettera scarlatta che non è più la A di adulterio, ma la O di “omofobia”.

Io invece, su questo mio blog, ho la libertà (per adesso) di dire ciò che voglio; non lo posso fare invece sui social, dove la dittatura delle lobby gay ha già occupato posizioni di comando, tanto che a chi dice qualcosa contro di loro viene sospeso o cancellato l’account. E quindi esprimo qui la mia opinione. Sono sulla strada dei 70 anni, quindi chi legge capirà perché non riesco ad adeguarmi a questa così brillante modernità, a questo esaltante “progresso” che tratta da residuati medievali coloro che pensano ancora che la vera famiglia sia quella formata da un uomo e una donna. Intendiamoci bene: sono contrario ad ogni emarginazione e ad ogni violenza contro chicchessia, quindi anche quella contro i gay. Chi offende, denigra o emargina una persona è comunque dalla parte del torto, e la violenza è sempre sbagliata, chi la compie deve essere condannato senza esitare; questo però vale per tutti, non si vede perché un pugno dato a una persona gay debba fare più male di quello dato ad un’altra persona. E’ giusto rispettare la dignità di tutti, ed io l’ho sempre fatto: nella mia lunga carriera di docente ho avuto molti studenti “diversi”, diciamo così, ma mai e poi mai mi sono permesso di fare battute a loro carico, di schernirli o di discriminarli in qualunque maniera.

Detto questo, cioè ferma condanna di qualsiasi violenza o discriminazione, resta il fatto che ciascuno è fatto a suo modo, in base all’educazione ed ai principi morali che ha ricevuto, e non si può imporre a nessuno di cambiare completamente mentalità solo perché oggi i gay sono diventati dei privilegiati o perché hanno occupato con la loro ideologia la TV ed i mezzi di informazione. Io non offendo nessuno, rispetto tutti a livello umano e personale, ma non posso evitare un moto di ribrezzo quando vedo due uomini o due donne che si baciano o quando un uomo dice “mio marito”; allo stesso modo non posso accettare l’idea delle adozioni gay o dell’utero in affitto; per lo stesso motivo non posso approvare le stupide carnevalate dei cosiddetti “gay pride”, dove si insultano i simboli cristiani o si denigra la famiglia tradizionale. Io, sempre nel rispetto personale di tutti, continuo a considerare l’omosessualità come un atto contro natura, al punto che mi sale un moto di ribrezzo al solo immaginare un rapporto sessuale tra due persone dello stesso sesso. Ed ho il coraggio di dirlo, qualunque sia la reazione di chi leggerà.

E’ qui che sorge il problema: le lobby gay e trans infatti non si accontentano di aver ottenuto i loro diritti, ma pretendono addirittura di cambiare la mente delle persone, di ipnotizzare tutti per condurli alla loro ideologia, e non tollerano alcun dissenso. E’ vero che in passato sono stati discriminati, ma ora stanno agendo come i Cristiani sotto l’impero romano, che da perseguitati divennero poi a loro volta persecutori dei pagani. Per raggiungere il loro scopo ricorrono addirittura alla minaccia della denuncia penale, e prima o poi ci arriveranno perché l’opposizione è troppo debole e soprattutto insicura e incapace di sostenere le proprie posizioni fino in fondo. Forse arriverà il momento in cui quelli che la pensano come me saranno denunciati perché credono nella famiglia tradizionale, o forse faranno come Stalin, ci manderanno nei manicomi criminali perché non siamo in grado di comprendere la sacralità di questo progresso che porta in piazza gente seminuda che insulta la Madonna e crede con ciò di aver conquistato un diritto. Per adesso mi dovete scusare, proprio non riesco, neanche volendo e ragionando, a considerare libertà e progresso ciò che è solo la squallida ostentazione di comportamenti che proprio non riesco a ritenere “normali”.

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Guerra e pensiero unico

E’ incredibile la rapidità e l’efficacia con cui il pensiero unico riesce ad affermarsi nel nostro Paese: da quando è scoppiata (purtroppo!) questa guerra in Ucraina tutti i principali canali televisivi e le maggiori testate giornalistiche si sono adeguate supinamente alla posizione del governo Draghi, imponendo una visione manichea dei fatti per cui Putin sarebbe l’aggressore violento e spietato mentre gli ucraini sarebbero le povere vittime, cui mandare denaro e armi per difendersi dall’invasione. Il bello della situazione è che chiunque non si adegua a questa visione unilaterale e cerca se non altro di comprendere con la propria mente le cause di questo conflitto viene immediatamente bollato come “putiniano” o anche come “pacifista”, dando a questo termine una connotazione negativa che non aveva prima di questi avvenimenti.

Quel che non posso accettare non è tanto la presa di posizione filogovernativa di tutti gli organi di informazione (avranno i loro motivi, sono stati sempre proni alle decisioni di tutti gli esecutivi, persino sulla gestione sciagurata della pandemia da parte del governo Conte 2), o il fatto che i giornalisti, che per loro natura dovrebbero indagare sui fatti e cercare di interpretarli, da qualche anno si adeguano supinamente al potere politico (e qui destra e sinistra fa poca differenza), quanto la repressione censoria nei confronti di chi la pensa diversamente: gli ospiti ucraini ai vari talk-show televisivi vengono lasciati parlare e incensati, a quelli russi si chiude la bocca e li si insulta, i pochi contrari alla pappardella governativa vengono zittiti o sbeffeggiati pubblicamente e devono portarsi addosso, come un marchio infamante, le etichette di cui parlavo prima.

Io credo che il cervello umano sia fatto per indagare, informarsi, ragionare e formarsi un’opinione propria sugli eventi che si verificano intorno a lui, non per dire sempre di sì come burattini manovrati con i fili. A proposito del conflitto cui stiamo assistendo da oltre due mesi, e che tutti speriamo finisca al più presto, quel che i giornalisti al servizio del potere dimenticano di dire in televisione sono molte cose. Ad esempio:

  1. L’Ucraina non sta affatto difendendo i valori democratici dell’Occidente, perché non è una democrazia ma un regime paragonabile a quello russo (del resto, l’origine etnica dei due paesi è la stessa). Il loro presidente non tollera le opposizioni e chiude sistematicamente qualunque voce di dissenso;
  2. Negli anni dal 2014 ad oggi c’è stata una sistematica persecuzione, da parte del governo ucraino, contro le popolazioni filorusse del Donbass e della Crimea; per mezzo del famigerato battaglione Azov sono state compiute distruzioni e omicidi di massa nei confronti dei dissidenti. A Odessa ci fu una strage dentro un edificio in cui vennero fatte morire bruciate decine di persone contrarie al regime.
  3. Il comportamento degli USA è tutt’altro che lodevole e accettabile. Gli americani hanno compiuto negli ultimi decenni varie invasioni di Stati indipendenti, stragi e bombardamenti, e nessuno ha avuto da ridire. Solo adesso ci si accorge che la guerra è un infame e inutile spargimento di sangue?
  4. La NATO, essendosi formata negli anni della guerra fredda per contrastare il blocco sovietico, una volta che questo è caduto si sarebbe dovuta sciogliere; e invece si è espansa sempre più verso Est, costituendo così per la Russia un’evidente provocazione. Se negli anni ’60 i sovietici furono costretti a togliere i missili nucleari da Cuba, non si vede perché oggi dovrebbe essere permesso alla NATO di collocarli a poche centinaia di chilometri da Mosca.

Nonostante tutto ciò il nostro Paese si è supinamente allineato alle posizioni preconcette di europei e americani, che ci aiutarono sì nel 1945 a liberarci dal nazismo, ma non possono pretendere dopo quasi 80 anni di continuare a toglierci la sovranità e considerarsi i nostri padroni. Tutto ciò dimostra che il nostro non è un paese libero, ma vive nell’orbita dei potentati economici e politici d’oltre Oceano, cui il nostro Primo Ministro si adegua scodinzolando di fronte a quel vecchio rimbambito di Biden. Io mi chiedo, ad esempio: quale diritto hanno gli USA di ergersi a paladini del diritto internazionale dopo tutti i pessimi esempi che hanno dato? e quale dovere abbiamo noi di farci coinvolgere in una guerra che non è nostra, inviando armi all’Ucraina, solo per compiacere l’industria bellica americana? Che diritto e che convenienza abbiamo noi di applicare sanzioni alla Russia, che nulla ha fatto contro di noi, con il rischio di subire danni economici molto più pesanti di quelli che dovremmo provocare? Io sarò miope o disinformato, ma non riesco a vedere la ragione per cui dobbiamo partecipare ad un conflitto che non abbiamo voluto e che non è contro di noi. Qualcuno dice: “ma se non fermiamo Putin poi attaccherà anche noi”, paragonando assurdamente la situazione internazionale attuale a quella dell’Europa del 1939. Ebbene, se lo farà interverremo; ma finché non veniamo attaccati direttamente non abbiamo il diritto di partecipare a un conflitto che non ci riguarda. Perché dovremmo farlo? Per umanità, per soccorrere chi è stato aggredito? E allora, quando gli USA hanno invaso l’Iraq con la falsa scusa di armi micidiali che non esistevano, perché abbiamo aiutato l’aggressore?

Questa mia posizione è condivisa da molti, forse dalla maggioranza degli italiani; ma pochi si azzardano a parlare ed esprimere le proprie idee per paura del pensiero unico, della ghettizzazione cui va incontro chi non si adegua alla versione ufficiale governativa ripetuta come un mantra dalle televisioni e da giornalisti che hanno perduto la loro dignità e professionalità. L’etichetta di “putiniano” appiccicata a chi esprime idee come la mia, in effetti, è una vergognosa mistificazione: cercare di scoprire le cause di questa guerra, ragionare sulle situazioni pregresse e le loro origini, considerare il quadro mondiale individuando altre responsabilità oltre quelle della Russia non significa affatto giustificare Putin o sostenere l’invasione dell’Ucraina. Putin si è messo senza dubbio dalla parte del torto, ma dobbiamo riflettere sul fatto che spesso, anche nella vita quotidiana, chi reagisce con troppa veemenza contro qualcuno è perché da questi è stato provocato ed ha quindi le sue ragioni, sebbene molti non le vedano o facciano finta di non vederle.

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Propaganda e pensiero unico

Noi diamo per scontato, ogni volta che leggiamo o ascoltiamo qualcosa che riguarda la politica, che la nostra sia una democrazia matura, che da noi ci sia veramente il pluralismo ed il rispetto per tutte le opinioni, e marchiamo sdegnosamente la differenza che distinguerebbe il nostro Paese, membro della NATO e dell’Europa di Bruxelles, dai paesi cosiddetti “totalitari” come la Russia, la Cina o altri. Eppure, se focalizziamo l’attenzione sull’informazione televisiva che abbiamo, o anche su quella della carta stampata, ci accorgiamo che la propaganda in atto in Italia non è molto diversa da quella di Putin o di altri dittatori del suo calibro. Non ci vuol molto ad accorgersi che da noi l’informazione è pilotata dal potere politico e che si svolge a senso unico: esiste cioè, in pratica, una sola linea interpretativa dei fatti che tutti siamo indotti (con le buone o con le cattive) a seguire. E’ un pensiero unico che viene dall’alto e che s’impone attraverso tutti i canali televisivi (pubblici o privati) e tutte le principali testate giornalistiche, un pensiero che viene ripetutamente gettato sulle nostre teste, con un martellamento continuo a cui non è possibile sottrarsi, a meno che qualcuno non decida di spegnere per sempre la TV, non leggere mai i giornali e non entrare mai nei social come Facebook. Ma rispettare queste regole è difficile, specie in una società moderna dove a tutti piacerebbe essere informati imparzialmente.

L’ultimo caso di pensiero unico riguarda la guerra Russia-Ucraina, sulla quale siamo bombardati tutti i giorni con un lavaggio del cervello che occupa almeno due terzi di ogni telegiornale. Sull’evento c’è ormai, da parte di tutte le fonti d’informazione, una visione unica che è quello di Biden, dell’Europa dei burocrati di Bruxelles e del nostro Draghi, cagnolino fedele e sottomesso ai diktat degli USA e dei signori citati prima. Secondo questa versione Putin è un criminale, un assassino che ha invaso un paese libero e per questo va condannato senza se e senza ma, anche adottando provvedimenti assurdi e stupidi come le sanzioni internazionali, che faranno molti più danni a noi che alla Russia. E nonostante che questa sia una verità evidente a tutti (abbiamo bisogno del gas russo e delle materie prime, altrimenti la nostra economia si blocca), Draghi e gli altri fedeli servitori dei Biden e compagnia continuano con questa follia delle sanzioni, al fine soprattutto di favorire l’alleato americano che guadagnerà alle nostre spalle vendendoci il suo gas ed il suo petrolio a prezzi superiori a quelli pagati a Putin. Altrettanto folle è la logica della armi date all’Ucraina, che serviranno solo a prolungare il conflitto e a far compiere altre stragi e altre atrocità. Se l’Europa avesse avuto veramente la volontà di far cessare il conflitto avrebbe dovuto restare neutrale, assistere i profughi e muoversi soprattutto sul piano diplomatico, senza prendere una posizione così netta solo per compiacere l’alleato americano, che in tutto ciò coltiva soprattutto i propri interessi politici ed economici.

Eppure, una posizione così netta assunta dall’Europa, alla quale Draghi si è allineato passivamente, non ammette repliche, non ammette contraddittorio. Chiunque si azzardi a dissentire da questa follia viene immediatamente etichettato come “putiniano” e pubblicamente sbeffeggiato ed emarginato. E’ successo a tutti coloro che hanno cercato in TV di indagare sulle cause del conflitto senza accettare come tanti burattini la versione ufficiale trasmessa dalla propaganda di regime; lo stesso è accaduto a chi ha messo in luce l’ambiguo comportamento degli USA e della NATO, che dopo la fine dell’Unione Sovietica avrebbe addirittura dovuto sciogliersi o almeno ritirarsi, non continuare ad avanzare verso est minacciando di porre missili atomici a poche centinaia di chilometri da Mosca. C’è stato chi ha ricordato la crisi di Cuba del 1963, quando i sovietici posero i missili a poca distanza da New York e furono poi costretti a rimuoverli; perché invece alla NATO dovrebbe essere consentito ciò che fu negato allora ai russi?

Gli argomenti per opporsi al pensiero unico ufficiale, senza tuttavia giustificare l’aggressione russa all’Ucraina, sarebbero molti, ma pochi si azzardano a parlare in un Paese dove si accetta una sola versione dei fatti: chi vi si oppone, qui da noi, fa poca strada, ma viene immediatamente tacitato e poi cacciato e messo nel ghetto dei “putiniani”, quando invece chi trova anche altre responsabilità nel conflitto non vuole affatto giustificare Putin ma semplicemente cercare di vedere al di là del muro ideologico che i nostri mass-media pilotati dal regime vogliono metterci di fronte agli occhi.

Certo, è vero che in Italia gli oppositori non subiscono conseguenze fisiche, non vengono avvelenati né messi in prigione per aver contestato il regime; ma subiscono ugualmente una censura strisciante e corrosiva che finisce per metterli a tacere. Il sistema usa contro di loro l’arma dello scherno e dell’emarginazione ideologica, una sorta di “confino” da cui non escono più. Così è avvenuto per qualsiasi circostanza in cui vi sia stata un’opposizione al pensiero unico del “politicamente corretto”, altra infelice imposizione di origine americana. Gli esempi non sono difficili da indicare: coloro che si opponevano al modo in cui lo sciagurato governo Conte 2 ha affrontato l’epidemia di Covid sono stati bollati come “negazionisti”, quando a nessuno veniva in mente di negare l’esistenza del virus; coloro che non si sono vaccinati hanno subito un’infamante gogna mediatica che è durata mesi e che ha ottenuto l’effetto contrario di quel che si proponeva; coloro che auspicano una maggiore libertà decisionale dell’Italia ed una riduzione della nostra sottomissione agli stranieri viene subito etichettato come “sovranista”. L’emarginazione del dissidente investe poi tutti coloro che mostrano perplessità di fronte alle tesi dei paladini dei cosiddetti “diritti civili”: così chiunque si azzarda a difendere la famiglia tradizionale formata da un uomo e una donna è immediatamente bollato come “omofobo”; chiunque trova il coraggio di dire che occorrerebbe porre un limite all’immigrazione clandestina, i cui effetti nefasti sono sotto gli occhi di tutti, è subito definito “razzista”; senza poi contare l’etichetta di “fascista” sempre affibbiata a chi non accetta certi falsi miti ancora in vigore oggi a 80 anni dalla fine della guerra civile italiana.

E’ vero quindi che gli oppositori in Italia non vanno in galera, ma questo non è sufficiente per poter definire la nostra una vera democrazia; non può essere tale un regime in cui viene propagandata, con un martellamento continuo, un’unica versione dei fatti, e dove chi non accetta questa versione viene bollato con i peggiori epiteti, sbeffeggiato ed escluso dal dibattito pubblico. Sì, perché da noi esiste anche la censura, per chi non lo sapesse: le TV non invitano i dissidenti o li invitano solo per ridicolizzarli, i social come Facebook sospendono il profilo o cacciano addirittura per sempre chiunque esprime un’opinione contraria al “politicamente corretto”, e non mi si venga a dire che questo è conforme alle regole del vivere civile.

Nella fattispecie la propaganda di regime che abbiamo in Italia, con tutte le TV e i giornali schierati come tanti soldatini al servizio del governo, a sua volta schiavo dei diktat americani ed europei, non differisce molto da quella della Russia o di altri paesi totalitari. Il senso di frustrazione che prova chi subisce questa emarginazione è forte, si ha la sensazione di essere soli in un deserto dove la nostra voce non è ascoltata oppure, se viene ascoltata, riceve per risposta lo scherno e l’insulto. Quindi la nostra non è una democrazia ma una dittatura; una dittatura che non ricorre ai carri armati o alla galera per i dissidenti solo perché non ne ha più bisogno. Come già diceva Pasolini molti decenni fa, oggi della repressione violenta non v’è più alcuna necessità: basta riuscire ad asservire la TV e tutti gli altri mezzi di informazione, ed il gioco è fatto.

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Una legge necessaria?

E’ molto tempo che non tratto argomenti di politica sul blog perché preso da altri impegni, ma ora, a forza di sentir parlare del DDL Zan contro l’omo/trans/fobia (ma che parola è?), mi è venuto il desiderio di fare alcune considerazioni. Sono opinioni mie e come tali opinabili e forse fallaci; ma nondimento sarei contento se fossero rispettate come sono da rispettare quelle di tutti gli altri, concordino o meno con le nostre.

Punto 1. Perché la sinistra italiana, cui si sono aggiunti gli scappati di casa a 5 stelle ormai diventati lacché di quella sinistra, sostiene con tanta pervicacia e acredine la necessità di approvare subito questa legge? E’ davvero così prioritaria in una fase storica in cui tanti problemi più gravi, di ordine sanitario ed economico, sono ancora ben presenti e ben lontani da una soluzione?

Punto 2. Siamo certi che sia opportuna una legge che crea delle “categorie” di cittadini privilegiati o comunque diversificati da tutti gli altri? Le norme che puniscono la violenza e l’istigazione alla violenza ci sono già, basta applicarle. Io personalmente non vedo il motivo per cui un pugno dato ad una persona gay o “trans” dovrebbe far più male o esser giudicato più grave di quello dato ad un’altra persona. La violenza va condannata e punita TUTTA con le stesse leggi, senza categorie speciali o protette, come fossero animali in estinzione.

Punto 3. Sono sicuri gli estensori e i paladini di questa legge che, una volta approvata, finisca con essa l’omofobia e l’avversione che taluni nutrono nei confronti delle “categorie” protette? Poiché la natura umana è reattiva di fronte alle imposizioni e alle minacce, c’è da attendersi che chi nutre odio o avversione per i gay o i “trans” si inasprisca ancor più e continui, magari in modo più subdolo, ad operare discriminazioni. La mentalità delle persone non si cambia a forza di legge e di denunce penali. Quel che dobbiamo diffondere è la cultura della tolleranza e del rispetto verso CHIUNQUE, non solo verso i gay, i trans o altri del genere; ma ciò può realizzarsi con l’educazione e la persuasione, non con le denunce penali, che non risolvono nulla.

Punto 4. Perché coinvolgere i bambini delle scuole, indottrinandoli con argomenti più grandi di loro? Io credo che l’innocenza infantile vada protetta, non mortificata. Non si vede cosa possano comprendere bambini di 6-10 anni (a anche quelli di 11-14) di un problema del genere. Diffondiamo piuttosto nelle scuole la cultura della tolleranza, cerchiamo di eliminare il bullismo, che come è noto non si rivolge solo contro i gay, ma contro chiunque si allontani un po’ dalla cosiddetta “normalità”: i grassi, i magri, quelli con gli occhiali, quelli con i brufoli, chi cammina saltellando, chi è troppo alto o troppo basso. Quanto agli orientamenti sessuali, quando questi bambini avranno la necessaria maturità, faranno da soli le proprie scelte.

Da parte mia io ritengo che questa legge sia inutile e pericolosa, per il fatto gravissimo che reintroduce il reato di opinione, cosa che avviene soltanto nelle più bieche dittature. Se una persona, ovviamente senza commettere alcun reato e senza discriminare nessuno, ritiene che l’omosessualità sia una pratica innaturale, che l’unica famiglia che possa chiamarsi tale è quella formata da un uomo e una donna e che i bambini debbono avere un padre e una madre, deve avere il diritto di continuare a pensarlo e ad esprimerlo. Invece l’art.4 del DDL Zan, con la scusa di un fantomatico “incitamento alla violenza”, di fatto minaccia di denuncia chiunque non è allineato al pensiero comune imposto per via normativa; e lasciare ad un giudice l’arbitrio di decidere quali sono le opinioni lecite e quali non lo sono è un abuso di potere intollerabile in ogni democrazia.

Per questo io penso che la difesa delle “categorie” suddette, da parte della nostra sinistra, non sia altro che un mero pretesto per imporre il pensiero unico del “politicamente corretto” anche a chi ha una diversa mentalità e una diversa ma altrettanto legittima opinione. E’ un atto dittatoriale, così come lo sono stati i famosi DPCM di Conte (sempre sostenuto da PD, estrema sinistra e 5 stelle) che ci hanno chiusi agli arresti domiciliari per mesi senza risolvere il problema della pandemia, in modo totalitario e senza neanche passare per il Parlamento. Tutte le dittature sono iniziate con azioni di forza, ma io sono da sempre convinto che le peggiori, le più odiose tra tutte, sono quelle mascherate da democrazie, che magari non ti chiudono la bocca con il manganello o i gulag, ma ti ridicolizzano e ti chiudono in un ghetto ideologico con le infamanti etichette di “razzista, fascista, omofobo” ecc., che sono ancor peggior della costrizione fisica, perché più subdole ed ipocrite.

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La fine della democrazia

Tutti si sono indignati per quanto avvenuto negli Stati Uniti e hanno detto che è stato violato il tempio della democrazia. Già qui c’è un errore, secondo me, perché l’origine dei regimi democratici non sta certo in America, ma caso mai nell’antica Atene del V° secolo a.C. e, per l’epoca moderna, nei principi della Rivoluzione Francese. Ma tant’è. Quello che vorrei dire è che Trump o chi per lui non è stato certo il primo a provocare il vulnus alla democrazia cui assistiamo da tempo, ma in realtà questa forma di governo, che oggi appare l’unica possibile e accettabile a giudizio generale, è imperfetta dappertutto, non è mai giusta e completa, e spesso dove ci si riempie la bocca con nobili concetti come “democrazia”, “giustizia”, “uguaglianza” ecc. è proprio il luogo dove questi principi sono trascurati e calpestati.

La democrazia ha dei difetti di suo, inutile negarlo. Alexis de Tocqueville disse ch’essa altro non è che la dittatura della maggioranza, e aveva perfettamente ragione; Churchill disse che i sistemi democratici avevano grandi difetti, ma che gli altri erano peggiori. Comunque, lasciando stare i difetti altrui, credo anch’io che la democrazia di per sé sia un sistema fortemente imperfetto, per diverse ragioni: 1) decide la maggioranza, ma questo è un fatto puramente quantitativo, non qualitativo, dato che nella storia è stato tante volte dimostrato come la ragione stesse dalla parte delle minoranze, o addirittura di chi era solo a proclamare certe verità (vedi i casi di Giordano Bruno e di Galilei); 2) il principio di uguaglianza tra i cittadini non dovrebbe esercitarsi in campo politico, perché per amministrare uno Stato non basta essere cittadini onesti, occorrono competenze e capacità che spesso i politici non hanno. E’ anche ingiusto, a mio parere, che il voto di un analfabeta valga quanto quello di un premio Nobel: per partecipare alla gestione dello Stato, anche semplicemente come elettori, occorrerebbe dimostrare di avere un minimo di cultura civica e politica; 3) in democrazia le masse sono facilmente manovrabili da parte di demagoghi senza scrupoli, che ai nostri tempi si servono abilmente dei mezzi di informazione (TV, social, Web ecc.) per addormentare le coscienze con promesse fasulle da imbonitori, come ad esempio il reddito di cittadinanza e lo Stato assistenziale che, invece di rilanciare il lavoro e l’impresa, distribuisce soldi a chi non fa nulla in cambio di voti.

Così, con la manipolazione delle masse mediante i mezzi di informazione ed il pensiero unico imposto a tutti, la millantata democrazia si trasforma in una dittatura strisciante, come quella che abbiamo oggi nel nostro Paese ad opera di un governo di persone del tutto inesperte e sprovvedute che, occupando di forza i principali canali TV (tutta la Rai è filogovernativa, basta ascoltare telegiornali faziosi come il TG1 con giornalisti servi del potere, per non parlare della “Sette”) diffonde il proprio pensiero facendolo passare per l’unica possibile verità e fa il proprio interesse spacciandolo per quello dei cittadini. Così continuano a terrorizzare le persone con la paura del virus, mostrano continuamente scene di morte e ospedali dove le persone soffrono, oppure presunti assembramenti di giovani che vengono criminalizzati e fatti passare da untori, quando è il governo ad essere del tutto inefficiente, essendosi limitato a toglierci la libertà e a distruggere l’economia anziché provvedere a migliorare i settori critici (v. i trasporti) ed a lasciar vivere le categorie produttive. Con questo virus bisogna conviverci, c’è poco da fare, e ciò che si dovrebbe fare non è chiudere tutto, ma consentire alle persone di vivere e di lavorare pur rispettando i protocolli di sicurezza. In molti paesi hanno fatto questo e non stanno certo peggio di noi, visto che l’Italia, nonostante il lockdown cinese a cui ci hanno costretto, ha ancora il primato delle morti per Covid. E’ chiaro quindi che il sistema delle chiusure non funziona e danneggia gravemente la libertà individuale garantita dalla Costituzione.

Ecco così che la democrazia in Italia resta un involucro vuoto, una parola priva di significato. Nella realtà dei fatti questo governo nato da un inciucio vergognoso e non eletto da nessuno ha instaurato una dittatura, approfittando della maggioranza che ha ma soprattutto mistificando la realtà e terrorizzando i cittadini con l’appropriazione dei mezzi di informazione. Certo, la pandemia non l’ha inventata il governo Conte 2, ma ha saputo cavalcarla bene per restare ben attaccato alle poltrone. Quando si procede per DPCM bypassando il Parlamento, quando l’opposizione non viene ascoltata, quando chi non è d’accordo con il pensiero unico imposto dalla televisione viene insultato, sbeffeggiato e bollato con le solite etichette di “fascista”, “razzista”, “omofobo”, “complottista”, “negazionista” ecc. e quindi annullato nel suo potenziale comunicativo, non si può più parlare di democrazia, ma di vera e autentica dittatura. Certo, non è una dittatura come quelle di Mussolini, Hitler e Stalin, non usa il manganello, i carri armati e la fucilazione, perché oggi non ce n’è più bisogno. Non c’è necessità di mettere a tacere i dissidenti con la forza, basta fare in modo che non siano né ascoltati né tanto meno seguiti. Per detenere un potere totalitario basta la televisione, come già intellettuali del calibro di Popper e Pasolini avevano lucidamente previsto.

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La lingua italiana umiliata e offesa: gli insulti

Il titolo di questo post si richiama ad una serie di articoli che pubblicai su questo blog nel 2014, che avevano in comune il tema dell’uso distorto della lingua italiana, purtroppo frequente ai nostri giorni. Lì si parlava di eufemismi impiegati in modo improprio ed ipocrita dalla moda del “politically correct”, di espressioni e parole sgradevoli, di anglicismi fuori luogo ecc.; se qualcuno vuole rileggerli, non ha che da andare qui sulla colonna a destra in alto, dove si dice “Cerca”, scrivere “La lingua italiana” e potrà farlo a suo agio, senza che qui io ne ripeta il contenuto. In realtà ci sarebbe molto altro da scrivere sull’ignoranza di tante persone che usano espressioni inesatte come il famoso “piuttosto che” inteso nel senso di “oppure”, che non ha affatto perché propriamente significa “invece di”; ma in questa sede preferisco puntualizzare un altro uso distorto della nostra lingua, quello cioè dei più comuni insulti che vengono affibbiati dai sostenitori del “politicamente corretto” a chiunque abbia un’opinione diversa dalla loro. Come dicevo nei post precedenti, oggi in Italia viviamo di fatto sotto una dittatura, una dittatura che non si serve più del manganello e dei carri armati ma del dominio dei mezzi di informazione, per tramite dei quali impone un pensiero unico ghettizzando e sbeffeggiando tutti coloro che vi si oppongono, e determinandone di fatto l’isolamento sociale e l’inefficacia decisionale. La TV di regime, i giornali schierati quasi tutti a fianco del governo attuale, l’ideologia marxista ormai alleata al peggiore clericalismo che continua a dominare nelle università e negli altri centri di cultura, tutti costoro utilizzano un determinato linguaggio offensivo contro i dissidenti e non si fanno scrupolo, pur di colpire il “nemico”, di stravolgere impunemente la lingua italiana, caricando i termini usati di accezioni e di significati che non avevano in origine, al solo scopo di squalificare ed isolare ancor più chi non accetta il pensiero unico dominante. Vediamo quali sono i più diffusi tra questi termini, e perché vengono impiegati in modo colpevolmente distorto.

1. Fascista, fascismo: termini ancora frequentissimi, a 75 anni dalla fine del regime mussoliniano, per bollare coloro che non condividono le idee di una sinistra che non sa vivere senza un “nemico” da abbattere. Perché è assurdo l’uso di questo termine? Perché il fascismo, il regime che dominò in Italia dal 1922 al 1943 (con l’infelice appendice della cosiddetta “Repubblica di Salò” fino al 1945) appartiene alla storia, non all’attualità, ed è quindi assurdo e stupido fondare su di esso il dibattito politico attuale. Sarebbe come se in Francia si accusassero gli avversari di essere “giacobini” o “sanculotti”, o se in Russia si usassero ancora i termini “bolscevico” e “menscevico” per i politici o i funzionari che operano adesso, nel 2020. Perché in Italia siamo rimasti tanto indietro da richiamarsi ancora al fascismo dopo quasi un secolo dalla sua caduta? E’ un mistero, che si spiega solo con la necessità assoluta, per la sopravvivenza dell’ideologia marxista, di agitare un finto spauracchio, un “nemico” da combattere che, in mancanza d’altro, viene riesumato a tanti decenni dalla sua morte. A meno che non si intenda per “fascista” in modo generico chiunque usi la violenza per affermare le proprie idee; ma in tal caso il termine si adatterebbe molto meglio oggi alla sinistra che alla destra, visto che se c’è qualcuno che fa uso sitematico di metodi violenti sono le cosiddette “sardine” o gli altri decerebrati ideologici che vorrebbero togliere con la forza la parola ai leaders dell’opposizione. Ricordiamoci quello che disse Pasolini, che pure era di sinistra, nel lontano 1974: “Stiamo attenti al fascismo degli antifascisti”.

2. Razzista, razzismo: usati universalmente contro tutti coloro che si oppongono agli sbarchi incontrollati sulle coste italiane di migliaia di persone provenienti dall’Africa e altri luoghi, persone che vengono sì accolte ma che in molti casi vengono poi lasciate a se stesse e quindi finiscono per commettere crimini e mettere in pericolo la sicurezza dei cittadini italiani. Anche questi termini vengono usati in modo colpevolmente improprio, perché il razzismo, nella sua formulazione originaria, è il pensiero di coloro che ritengono la propria razza intellettualmente superiore alle altre, come avveniva – ad esempio – nel pangermanismo tedesco, dal “Discorso alla nazione” di Fichte fino al nazismo hitleriano. Ma chi oggi in Italia si preoccupa per questa invasione (perché di ciò si tratta) di stranieri non lo fa perché si ritiene ontologicamente superiore a loro, ma perché, adoperando il buon senso, sa che l’Italia non è un paese ricco, privo di problemi economici e tale da poter dare accoglienza e mantenimento a tanti stranieri. Che senso ha far entrare tante persone quando poi le dobbiamo lasciare a delinquere per strada o ad essere sfruttate ignobilmente in ambito lavorativo? Nessuno è contro gli stranieri di principio, perché coloro che lavorano onestamente e pagano le tasse non vengono affatto discriminati, ma sono considerati italiani come tutti noi, ed anzi vanno ringraziati per l’opera che svolgono. E’ quindi chiara la disonestà intellettuale di chi dà all’avversario del “razzista”, magari per nascondere gli ignobili interessi di chi specula sull’immigrazione e sapendo di non dare al termine il valore che ha sempre avuto nella lingua italiana.

3. Omofobia, omofobo: questi termini offensivi vengono applicati come etichette infamanti a tutti coloro che sostengono una loro legittima opinione, cioè che la vera e unica famiglia sia quella formata da un uomo e una donna. Le lobby gay hanno diffuso ovunque il loro pensiero e tentano di imporlo anche per legge, arrivando addirittura a chiedere per i dissidenti la denuncia penale e persino la galera. Se non è dittatura questa, che cos’è? Si vuole addirittura reintrodurre il reato di opinione, per cui se non ami i gay o l’ideologia gender, che tentano anche di introdurre nelle scuole, sei colpevole, rischi la prigione. Al di là dell’enorme sopruso che una norma del genere porterebbe contro cittadini inermi e colpevoli solo di non accettare il pensiero unico, quel che voglio puntualizzare qui è l’inesattezza dei termini impiegati, che sono etimologicamente del tutto erronei: in base all’origine greca, infatti, la parola “omofobia” significa “paura dell’uguale”, ed è quindi totalmente improprio l’uso che se ne fa comunemente.

4. Complottista, negazionista: sono termini usati moltissimo dagli alfieri del “politicamente corretto” in questo ultimo anno, e servono a designare con profondo disprezzo tutti coloro che si oppongono alla gestione, da parte del governo “giallorosso” di Conte, dell’epidemia di Covid-19, il famoso coronavirus. Confesso il fatto che personalmente non mi sento tanto offeso dal primo dei due termini, perché se per “complottista” si intende colui che vuole ragionare con la propria testa e non accetta, come gli allocchi passivamente dipendenti dalla televisione, tutto ciò che il regime intende diffondere, allora mi suona quasi come un elogio. Più grave è invece il secondo, che porta con sé una pesante e ben percettibile dose di disprezzo in quanto rievoca il pensiero distorto di coloro che hanno negato l’olocausto degli ebrei nei Lager nazisti; quindi impiegare il termine contro gli oppositori di Conte è un atto da vigliacchi, perché li accomuna ai nazisti e li rende in certo qual modo loro complice. Va poi detto che il negazionismo verso il Covid-19 in realtà è un’invenzione, perché non c’è nessuno che possa negare l’esistenza del virus, diffuso come si sa in tutto il mondo; ciò che si critica è piuttosto l’operato dissennato di questo governo, che prima ha sottovalutato e poi sopravvalutato il problema togliendoci le più elementari libertà personali con un lockdown criminale, messo in atto con la minaccia delle denunce e delle multe anche laddove non ve n’era affatto la necessità.

Lasciamo da parte per pietà gli errori e le assurdità che questo governo di incapaci ha compiuto anche dopo il lockdown e continua a compiere ogni giorno; quel che mi preme sottolineare qui, in senso lato, è la malafede colpevole di chi usa termini offensivi e diffamatori nei confronti di coloro che non si allineano al pensiero unico imposto con il terrorismo psicologico dei mezzi di informazione.

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Il “politicamente corretto”, vera dittatura dei nostri tempi

Un tempo i regimi assolutistici, ossia le dittature, utilizzavano mezzi brutali per affermare il proprio potere: violenze fisiche di ogni genere contro i dissidenti, deportazioni, processi farsa con successive condanne a morte, chiusura di giornali e fonti di informazione contrarie al potere costituito, clima di terrore imposto con la forza delle armi. Oggi, con la diffusione dei mass-media e, più di recente, del web e dei social, di tutti questi orrori non c’è più bisogno: basta far passare determinate idee o concetti, ripeterli all’infinito per farli ben assimilare a tutti, mettere in ridicolo o colpevolizzare chiunque si oppone, e il gioco è fatto. Non c’è bisogno di usare la forza fisica, dacché si è capito che la persuasione lenta e costante, che opera un graduale e micidiale lavaggio dei cervelli, è un mezzo ben più efficace per comprimere le coscienze individuali ed ottenere la massificazione del pensiero. E se di questo si erano accorti Popper e Pasolini già alcuni decenni fa, oggi il fenomeno è ancor più evidente e drammatico nella sua potenza di coercizione psicologica. La manipolazione del pensiero individuale non si ottiene più con il manganello e l’olio di ricino come avveniva nel 1922, ma ripetendo ogni giorno, ossessivamente, per mezzo della tv e dei social, determinati concetti che lentamente ma inesorabilmente convincono tutti o quasi della loro validità: si sa che anche le bugie, se ripetute all’infinito e accolte dalla maggioranza delle persone, diventano verità. Tanto più quando tanti cittadini, incapaci di avere un pensiero autonomo, si affidano ai mass-media per regolare la loro vita: più volte ho dovuto sentire, in questo periodo di epidemia di Covid-19, persone terrorizzate dal virus ripetere frasi come “L’ha detto la televisione!”, quasi che in televisione ci fosse il Messia che predica il Vangelo e non ci fossero invece persone spesso incompetenti ed in cerca solo di guadagno e di visibilità personale, anche tra i cosiddetti “scienziati” e virologi profeti di sventura. Così l’obiettivo di piegare le masse al pensiero unico viene ottenuto molto meglio che con la coercizione e la violenza fisica. Ma non possiamo più dire di vivere in una democrazia, perché di fatto siamo sotto una dittatura: insinuante, strisciante, subdola, ma pur sempre una dittatura.
Quello che viene chiamato adesso “politicamente corretto” è in realtà un pensiero unico imposto dai mezzi di informazione non con la forza fisica, ma con quella mediatica. E’ sostenuto da sempre da una parte politica, la sinistra, che ha ormai perduto il consenso delle masse e si rifugia quindi, per abbattere gli avversari, nella presunta tutela delle minoranze e delle categorie sociali apparentemente più deboli. In linea di principio la difesa di queste categorie (i disabili, gli omosessuali, gli immigrati ecc.) sarebbe sacrosanta, ma non lo è il modo con cui questa azione è condotta dalla torbida alleanza tra l’ideologia di sinistra ed il fondamentalismo cattolico, un tempo nemici giurati e adesso alleati inseparabili. In pratica la difesa delle minoranze è diventata un mero pretesto per abbattere il dissenso e lo scopo è stato ottenuto sia con la manipolazione del linguaggio per cui certe parole come “negro”, da sempre usate anche da chi non aveva nessuna intenzione denigratoria o discriminatoria, sono state messe al bando, sia con una pervicace e martellante campagna mediatica che non è stata solo difensiva, ma anche e spesso offensiva contro tutti coloro che non si adeguavano al pensiero unico e avevano la pretesa di ragionare in modo autonomo. In pratica gli avversari del “politicamente corretto” sono stati presi di mira e confinati nel ghetto dei reietti della società mediante etichette terminologiche che venivano e vengono appiccicate a chiunque si azzardi ad esternare idee e motivazioni diverse da quelli del pensiero clerico-marxista: così chi fa presente che l’eccessivo numero di stranieri in Italia provoca problemi di ordine economico o di ordine pubblico è “razzista”; chiunque difenda la famiglia tradizionale formata da un uomo e una donna è “omofobo”; chiunque si permette di dubitare delle “verità” della televisione e ritiene che ci venga nascosto qualcosa per interesse di qualcuno è “complottista”, e via dicendo. Diffondendo in modo capillare questo pensiero unico e convincendo della sua validità la maggior parte delle persone, si ottiene l’effetto desiderato: quello cioè di emarginare il dissidente, di farlo ritenere quasi un appestato, un rifiuto della società, di isolarlo umanamente e socialmente. Ciò che ne deriva è analogo a quello che Hitler e Stalin volevano ottenere quando mandavano i dissidenti nei campi di concentramento e nei gulag; e se oggi i gulag materiali con le torture fisiche ed il filo spinato non esistono più, esistono però quelli virtuali in cui viene di fatto confinato chi non si adegua alla mentalità massificatrice della maggioranza. Anzi, c’è persino il rischio che chi ha un’idea personale si senta inadeguato, si colpevolizzi per questa sua condizione di dissidente e magari, come diceva Nietzsche, “vada al manicomio da solo”.
Ma i mezzi che le lobby del politicamente corretto impiegano per affermare il proprio potere non sono soltanto persuasivi e perseguiti mediante l’uso distorto della tv e dei social, sono anche coercitivi in alcuni casi, quando forse la loro volontà di dominio rischierebbe di non avere pieno successo. Così, quando c’è il sospetto che la resistenza sia ancora troppo forte, si ricorre al braccio violento della legge. E’ questo il caso del disegno di legge Zan-Scalfarotto contro la cosiddetta “omofobia”, che commina addirittura il carcere a chiunque si opponga alle unioni gay, alle adozioni di bambini da parte di queste persone, a chiunque cioè voglia avvalersi dell’art. 21 della Costituzione che garantisce la libertà di pensiero e di opinione. Se questa legge sarà approvata si rischierà di essere incriminati se diremo che l’unica vera famiglia è quella tradizionale o se ci mostreremo contrariati di fronte allo spettacolo di due persone dello stesso sesso che si fanno effusioni per la strada. Questa non è coercizione, non è dittatura? A me pare di sì, perché quando si impedisce con la forza e la minaccia del carcere a qualcuno di assumere determinate posizioni o esprimere le sue convinzioni non si può più parlare di libertà. Dicono di voler combattere la violenza contro i gay? Ma per quello esistono già delle leggi adeguate, basterebbe applicarle. Per il resto, non vedo perché dare un pugno ad un gay, azione riprovevole e condannabile, dovrebbe essere più grave e meritare una pena più pesante di quella dovuta per un pugno dato ad una persona non gay. Sempre di un pugno si tratta, a chiunque venga dato; ma ciò diventa un pretesto per reprimere il libero pensiero, per impedire a chi non si allinea all’ideologia di massa di esprimere il proprio dissenso. Da tutto ciò (ma non solo, anche dal modo in cui questo governo ha gestito l’emergenza sanitaria, dall’operato della Magistratura e da altro ancora) io ricavo l’assoluta certezza che la democrazia in Italia è ormai solo un lontano ricordo, perché in uno Stato in cui chi dissente dal pensiero comune viene ridicolizzato, emarginato e persino minacciato del carcere non è più lecito neanche pronunciare la parola “libertà”.

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La società degli eccessi

Molto tempo fa scrissi su questo blog un articolo che parlava della teoria del “giusto mezzo” di aristotelica memoria, in cui constatavo quanto fosse difficile mantenere il giusto equilibrio tra pulsioni e sentimenti opposti. Secondo il pensiero dei saggi antichi, tra cui mi viene in mente soprattutto l’Orazio delle Satire, la virtù non è altro che una condizione morale intermedia tra due vizi opposti, come l’avarizia e la prodigalità, l’irascibilità e l’ignavia, la passionalità e l’apatia ecc. Questo saggio principio del giusto mezzo è evidentemente un’utopia, un sogno irrealizzabile perché ancor oggi, dopo tanti secoli di civiltà, di letteratura, di filosofia, di scienza, non siamo capaci di trovare un punto di equilibrio tra tendenze e pensieri opposti che caratterizzano la diversità tra le persone, i gruppi, le culture, le posizioni sociali ecc. Da qui nasce tutta una serie di etichettature insultanti su chiunque la pensi diversamente: così chi non è di sinistra è automaticamente “fascista”, chi non è di destra è “comunista”, chi sostiene la famiglia tradizionale è “omofobo”, chi si preoccupa dell’eccessivo numero di migranti che arrivano sulle nostre coste è “razzista”, e via dicendo con questi stereotipi manichei che vedono soltanto gli estremi, mai le vie di mezzo. Nessuno ha spiegato chiaramente a queste persone, a quanto pare, che non esistono solo il bianco ed il nero, ma anche varie sfumature di grigio.
Negli ultimi decenni abbiamo assistito a grandi cambiamenti del costume e del sentire comune, eventi che hanno colto di sorpresa chi, come il sottoscritto, era abituato ad un sistema etico diverso da quello attuale, al quale fa fatica ad adeguarsi; meno forte è stato invece l’impatto per i giovani, nati quando già molte cose erano cambiate e molte delle convinzioni precedenti erano state messe in soffitta. Questi cambiamenti, comunque, non sono stati indolori, perché i “progressisti” sostenitori delle nuove idee non si sono limitati a cercare il loro spazio, ma si sono scagliati violentemente contro i “conservatori” cercando di chiudere loro la bocca ed impedire loro di esprimere i propri punti di vista. Questo modo di agire è analogo a quello dei Cristiani dei primi secoli durante l’Impero romano, che all’inizio subirono persecuzioni ma poi, una volta “sdoganati” (come di dice oggi) da Costantino e vittoriosi con Teodosio, diventarono essi stessi persecutori delle altre religioni: costruirono le chiese sopra le rovine dei templi pagani perché si perdessero del tutto le tracce del paganesimo; abbatterono i simboli degli dèi come avvenne nella celebre controversia tra Simmaco e Ambrogio per la statua della Vittoria; si lasciarono prendere da un delirio fanatico che portò a cieca e bestiale violenza, come fu quella che provocò la morte della scienziata Ipazia. La stessa cosa, sebbene con toni e metodi diversi, è avvenuta oggi nel nostro Paese.
Prendiamo ad esempio alcune categorie di “diversi” prima discriminati e poi invece celebrati e favoriti rispetto ai cittadini comuni. Nella scuola c’è stato giustamente fin dal 1977 l’inserimento dei portatori di handicap, che ora si amano definire “diversamente abili”. La cosa di per sé è sacrosanta, intendiamoci, ma doveva essere fatta con criterio, non provocando ingiustizie e discriminazioni nei confronti dei normodotati e dei superdotati, i quali sono oggi totalmente trascurati e mortificati nelle nostre scuole. Inserire i “diversamente abili” non avrebbe dovuto significare trascurare gli altri o abbandonarli a se stessi, come talvolta è accaduto; se è giusto infatti che un bambino “diverso” sia messo in classe con gli altri, è però altrettanto giusto che gli altri bambini possano seguire le lezioni e svolgere regolarmente i loro programmi, ciò che risulta molto difficile quando in classe c’è qualcuno che urla di continuo, picchia i compagni o si rotola per terra. In questi casi occorrerebbe la presenza continua (che spesso non c’è) di personale apposito e preparato per simili evenienze, che evitasse ad una intera classe di restare indietro con i programmi o di subire vessazioni continue, cosa che purtroppo accade. Allo stesso modo non mi pare affatto giusto che i portatori di handicap all’esame di Stato svolgano prove apposite ma poi abbiano lo stesso sistema valutativo degli altri conseguendo persino valutazioni più alte, senza che sui tabelloni appaia alcuna distinzione. Non parliamo poi dei cosiddetti BES o DSA, che spesso utilizzano queste loro caratteristiche, più o meno certificate, per ottenere promozioni immeritate.
Altra categoria di “diversi,” un tempo ingiustamente derisi e discriminati, sono gli omosessuali, i cosiddetti gay: anche in questo caso si è passati da un estremo all’altro, come fecero gli antichi cristiani. Prima trovarsi in quella condizione significava essere perseguitati e doversi nascondere alla vista del mondo, oggi invece è l’esatto contrario: essere gay è considerato quasi un privilegio, uno status di superiorità nei confronti delle altre persone, un onore addirittura. Prima chi fosse gay non avrebbe mai potuto essere ammesso alla televisione di Stato, oggi un giornalista dichiaratamente omosessuale, che si è unito civilmente con un uomo, conduce una trasmissione quotidiana e nessuno trova da ridire, tutti accettano la cosa come normale. Ma a questo, visto il repentino cambiamento del sentire comune, ci si potrebbe anche adattare; il problema è che non ci si limita a riconoscere diritti prima negati, ma si cerca addirittura di conculcare e reprimere chi osa dissentire da questo andazzo e difende la famiglia tradizionale, l’unica naturale, quella formata da un uomo e una donna: con la scusa della cosiddetta “omofobia”, non ci si può permettere di disapprovare le unioni gay o l’adozione di bambini da parte loro, altrimenti si rischia il linciaggio morale. Io stesso sono stato escluso da Facebook tre volte per un mese ciascuna solo per essermi detto a favore della famiglia naturale e contrario alle buffonesche e ridicole esibizioni dei cosiddetti “gay pride”. Non solo: esistono disegni di legge che, se approvati, vanificano la libertà di opinione sancita dall’art.21 della nostra Costituzione, sempre con la solita scusa dell'”omofobia”, un termine oltretutto usato male perché, nelle sue origini greche, significa semplicemente “paura dell’uguale”. Si reintroduce in pratica il reato di opinione tipico delle dittature per chiunque dissenta dal pensiero unico imposto a forza da tv, giornali e social.
Lo stesso dissennato passaggio da un estremo all’altro si è registrato a proposito degli stranieri che vivono nel nostro paese e soprattutto dei migranti che arrivano con i barconi e attraverso frontiere assurdamente aperte e non più controllate. Qualche decennio fa, diciamo il vero, non c’era molta simpatia per i cosiddetti “negri”, per gli asiatici ed anche, sul piano religioso, per i musulmani; oggi invece chiunque si oppone a questi arrivi incontrollati, a questa crescente presenza di stranieri dal futuro incertissimo perché il lavoro manca persino per gli italiani, è bollato immediatamente come “razzista” e si porta questo marchio d’infamia dovunque vada. Io ho sempre sostenuto che il razzismo vero è qualcosa di diverso, è la concezione tipica dei regimi nazista e fascista secondo cui la razza ariana (o bianca) sarebbe ontologicamente superiore alle altre; ma chi si mostra preoccupato per la presenza di stranieri che spacciano, rapinano, stuprano e delinquono in generale, o che bivaccano trasformando i nostri quartieri in immondezzai, non lo fa perché si ritiene superiore a costoro, ma perché la nostra sicurezza è minacciata in casa nostra, perché questo buonismo del “politicamente corretto” oggi da tanti sostenuto non risolve i problemi ma li aggrava. Io personalmente non ho nulla contro gli stranieri che lavorano onestamente da noi, anzi vorrei che ce ne fossero di più in certi settori; ma questo non può significare accogliere tutti indistintamente senza poi poter dare un futuro a queste persone, con il rischio evidente che aumentino la criminalità e il degrado. Anche in questo caso, anziché ragionare e cercare la saggia via del giusto mezzo, ci si lascia andare ad uno scontro feroce sui social ed in politica, ad una sciocca contrapposizione tra “buonisti” e “razzisti”. La decisione migliore sarebbe quella di ragionare, di investire del problema tutta l’Europa e trovare una soluzione accettabile per tutti. Cacciare via tutti o accogliere tutti non sono soluzioni proponibili, sono due posizioni estreme che, proprio per questo loro carattere, non portano da nessuna parte. Purtroppo la saggezza degli antichi adesso è dimenticata, a parte coloro che, sbagliando gravemente a mio giudizio, strumentalizzano poeti e scrittori greci e romani per trovarvi un appoggio alle loro idee su questioni di attualità.

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Censura!!!

Ci siamo, è successo nuovamente: sono stato sospeso da Facebook per trenta giorni solo per aver espresso una mia opinione, che evidentemente non collimava con il pensiero unico impostoci dalla Rete e dagli altri mezzi di informazione. In un mio commento sul problema dell’immigrazione ho usato la parola “negro”, un termine normale per indicare le persone di colore che è normalmente compreso nella lingua italiana. Dice il vocabolario Zingarelli (anno 2009) alla voce “negro”: “persona che appartiene al gruppo etnico di pelle nera o scura”, aggiungendo però subito dopo che il termine può essere inteso come spregiativo e quindi spesso sostituito con “nero”; ma si tratta di un’assurda sottigliezza, perché entrambi i termini derivano dal latino nigrum, accusativo dell’aggettivo niger. Non si vede dunque dove sta l’intento offensivo di chi lo scrive, specie se – come nel mio caso – non c’era alcuna volontà denigratoria, ma la parola compariva in un commento scritto a proposito del problema dell’immigrazione che fa tanto oggi discutere nel nostro Paese.
La cosa veramente grottesca è che su Facebook continuano ad essere presenti termini offensivi molto pesanti, parolacce di ogni tipo, che gruppi eversivi e in odore di mafia e di malavita continuano tranquillamente a prosperare e poi si esclude per un mese una persona solo per aver usato una parola sgradita. La contraddizione è evidente, e probabilmente chi provvede a questo tipo di censura non sono persone in carne ed ossa, ma un algoritmo o qualche software automatico che, appena si imbatte in un termine “politically incorrect” lo segnala e da lì parte l’emarginazione di chi l’ha usato. Bisogna per forza pensare questo, perché altrimenti, se ci fossero veramente persone reali a fare i censori, vorrebbe dire che sono degli idioti oppure, cosa più probabile, che sono manovrati dall’alto, da parte di un potere occulto che impone a tutti il pensiero unico di oggi, quello che protegge e considera sacre e intoccabili certe categorie di persone (immigrati, gay ecc.) e castiga persino penalmente chi osa non essere d’accordo con tale impostazione ideologica. C’è da chiedersi allora dove va a finire l’art. 21 della nostra tanto osannata Costituzione, che garantisce la libertà di parola e di opinione. Dico questo perché non credo che i social della Rete (primo tra tutti Facebook) siano liberi e indipendenti: in realtà dipendono da certi poteri e ne fanno gli interessi, sono collegati in ogni Paese a determinati indirizzi ideologici.
Pier Paolo Pasolini, nei primi anni ’70 dello scorso secolo, diceva che il potere della televisione sull’anima umana era molto più forte di quello delle classiche dittature del ‘900: il fascismo, secondo lui, aveva raccolto nel popolo italiano solo un’adesione esteriore, ma non ne aveva cambiato la vita, la mentalità, il modo di essere; la televisione invece, condizionando quotidianamente ciascuno di noi e piegandolo alle esigenze del mercato e del consumismo, costituiva una dittatura ben più efficace e coercitiva di quella di Mussolini o di Stalin. Ed in effetti, se un regime come quello fascista dovesse rinascere oggi e non nel 1922, non credo che utilizzerebbe il manganello e l’olio di ricino, ma gli sarebbe sufficiente un’accurata propaganda televisiva e mediatica. Pasolini non parlava della Rete perché allora non esisteva, altrimenti avrebbe sicuramente stigmatizzato l’uso dei social più di quanto non abbia fatto con la televisione.
Ma per lungo tempo la propaganda televisiva e mediatica si è limitata a influenzare psicologicamente i cittadini, proponendo modelli di vita che hanno profondamente cambiato le abitudini degli italiani (i consumi sfrenati,la cura dell’estetica, le vacanze al mare o all’estero viste come un’assoluta necessità ecc.) e promulgando una finta tolleranza ed un finto pluralismo che davano comunque l’impressione a tutti di essere liberi e di poter esprimere altrettanto liberamente le proprie opinioni; adesso invece, da qualche anno a questa parte, il pensiero unico deve sentirsi minacciato in qualche maniera, perché è passato dalla proposta alla coercizione, dalla finta tolleranza all’imposizione violenta del pensiero unico dominante. Un esempio sono le proposte di legge di Scalfarotto (PD) e di Fiano (sempre del PD), le quali auspicano addirittura di punire penalmente, anche con il carcere, chi esprime idee non allineate alle loro per quanto riguarda gli omosessuali e la cosiddetta “propaganda fascista”, forse perché hanno paura che risorga un regime che è finito più di 70 anni fa. Non sarà più possibile a nessuno dire che i gay non gli piacciono o che le coppie di quel tipo non seguono le leggi di natura, né cercare di studiare e di comprendere ciò che il fascismo fu in realtà senza lasciarsi condizionare dai libri di storia e dalle altre fonti di informazione orientate a sinistra e quindi insincere e faziose. La libertà di opinione sancita dall’art. 21 della Costituzione è oggi fortemente minacciata dal pensiero unico, che ci viene imposto da tutte le fonti di informazione, nonostante che da qualche mese si sia insediato un governo che pare orientato diversamente. E questa ideologia onnipresente e oppressiva, che non ammette contraddittorio, ci arriva addosso anche attraverso i social della Rete, che sono certamente manovrati dall’alto: non si spiegherebbe in altro modo, infatti, il motivo per cui basta che si usi la parola “negro” e si viene cacciati dalla comunità ed esclusi dal dialogo con tutti, anche con coloro che abbiamo accettato nella nostra amicizia. Io mi auguro che sempre più persone si accorgano che quello che stiamo vivendo in Italia è un regime ipocrita e peggiore di ogni altro perché, per tornare a Pasolini, il fascismo almeno era una dittatura dichiarata e conclamata, mentre quella di oggi si traveste da democrazia e finge di concedere libertà che invece non ci sono affatto. Chi non si allinea alle idee dominanti alla Saviano o alla Boldrini è automaticamente emarginato, escluso, disprezzato e bollato con termini infamanti come “razzista”, “fascista” ecc. anche quando dice cose giuste ed evidenti a tutti, come ad esempio disapprovare la grottesca politica per la quale i cittadini italiani spendano 5 miliardi di euro all’anno per mantenere negli alberghi immigrati nullafacenti e quasi sempre clandestini, che non fuggono da nessuna guerra ma vogliono solo fare la bella vita a spese nostre. Se questa è democrazia!!!!

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I termini impropri della politica

Seguendo il dibattito politico che è sempre più acceso nel nostro Paese, mi risulta interessante analizzarne il linguaggio, cioè le parole e le espressioni normalmente usate dai politici durante i talk-show televisivi, dai giornali e dai social nel web. A mio parere alcuni termini di impiego comune sono in realtà usati impropriamente, attribuendo cioè ad essi un valore denigratorio e offensivo nei confronti degli avversari ma senza rispettare il senso proprio e naturale che dovrebbero avere. Poiché le parole sono pietre, come si suol dire, vale la pena di fare qualche esempio, per dimostrare come in Italia non si sia mai riusciti a chiudere i conti con il passato e ad impostare la dialettica politica su di un piano di aperto e tollerante confronto con chi la pensa diversamente da noi. Tutto ciò contribuisce all’affermazione di quel “pensiero unico” e di quel “politically correct” di cui ho parlato in altri post, la tendenza cioè a mettere in cattiva luce l’avversario additandolo al pubblico disprezzo anche mediante l’impiego di certi termini. Facciamo qualche esempio di parole anche troppo comuni.
1. Fascismo, fascista. Questi appellativi vengono rivolti continuamente da esponenti della sinistra a chiunque non la pensa come loro, e costituiscono senza dubbio un marchio d’infamia perché richiamano l’esecrato regime che fu al potere in Italia dal 1922 al 1943. E’ evidente il grossolano anacronismo che c’è dietro questi termini, perché il regime cui fanno riferimento è terminato più di 70 anni fa ed è quindi ormai impossibile che vi sia qualcuno che possa o voglia restaurarlo. In altri Paesi, che molto meglio di noi hanno fatto i conti con il passato e dove non ci sono “nemici” ma solo avversari e dove l’odio non ammorba il dibattito politico, termini come questi sono fuori uso. Non credo che in Germania si usi di frequente la parola “nazista” per identificare chi ha idee nazionaliste o comunque è schierato a destra, né che in Russia si usi più il termine “bolscevico” per chi ritiene che il passato regime comunista portasse ai cittadini anche dei vantaggi, pur nel clima assolutistico che lo caratterizzava. I regimi dittatoriali, per fortuna, appartengono al passato (almeno in Europa), ed è quindi linguisticamente e socialmente errato continuare nel 2018 a bollare gli avversari politici con etichette infamanti che si rifanno a periodi storici ormai conclusi. Oggi non c’è più alcun pericolo che i fantasmi del passato possano ritornare, ed è quindi assurdo tenerli in vita solo perché fanno comodo, a chi non ha argomenti sufficienti a sostenere il proprio pensiero, per chiudere gli avversari nel ghetto dell’infamia.
2. Razzismo, razzista. Anche questi sono termini largamente impiegati dai buonisti nostrani, siano essi d’impostazione cattolica o di sinistra (o di entrambe le ideologie) per designare coloro che si oppongono all’invasione degli immigrati nel nostro Paese, cui stiamo ormai assistendo da alcuni anni. Propriamente il termine “razzista” designa chi ritiene il proprio ceppo etnico ontologicamente superiore agli altri, come avveniva, ad esempio, nella Germania di Hitler, dove la cosiddetta “razza ariana” era ritenuta arbitrariamente dotata di qualità naturali e culturali più elevate rispetto a quelle delle altre razze. Ma chi oggi si mostra preoccupato per la presenza eccessiva di stranieri in Italia non lo fa perché ritiene superiore la propria razza a quelle degli immigrati o dei ROM, ma perché pensa che questi ultimi, in mancanza di lavoro o di adeguata integrazione, creino problemi di criminalità e di ordine pubblico, come in effetti avviene in molte città, dove uscire la sera è diventato proibitivo proprio per la crescente presenza di immigrati che delinquono. Ritenere che l’Italia abbia già molti problemi per potersi accollare da sola milioni di individui che fuggono dall’Africa o dall’Asia, o pensare che sia vergognoso che gli immigrati vengano mantenuti negli alberghi mentre tanti italiani vivono con 500 euro di pensione al mese non è razzismo, è senso di giustizia puro e semplice. Ogni nazione europea tutela prima i propri cittadini e poi gli stranieri. Perché noi dovremmo fare eccezione?
3. Omofobo, omofobia. Questi termini sono frequentemente impiegati dal pensiero unico dominante contro chiunque non approvi le unioni omosessuali e soprattutto l’adozione di figli da parte di coppie di questo tipo. Anzitutto va detto che c’è un errore etimologico in queste parole, perché “omofobia”, in base alle sue origini greche, significa “paura dell’uguale”, e quindi non avrebbe nulla a che fare con la sfera della sessualità. Comunque, a parte ciò, questi termini vengono lanciati come etichette infamanti per chi esprime un’opinione che ha tutto il diritto di esprimere. Io stesso ritengo che l’unica famiglia che possa definirsi tale sia quella formata da un uomo e una donna, e prendo a garante l’art. 21 della nostra Costituzione per ribadire che nessuno potrà convincermi a cambiare idea.
4. Populismo, populista. Anche questi termini vengono usati a sproposito, attribuendo loro un senso denigratorio che in origine non avevano affatto. Propriamente il populismo è stato un movimento attivo di tipo socialista affermatosi in Russia sul finire del secolo XIX, ed è passato poi ad indicare colui o coloro che mettevano il popolo al centro del loro interesse artistico o letterario; quindi il senso della parola era inizialmente positivo, mentre solo di recente viene usato come equivalente di “demagogia”, la tendenza cioè di molti politici a far promesse per attirarsi il favore degli elettori. Questo è il maggior limite della democrazia, come già nell’antica Grecia molti scrittori e filosofi avevano sottolineato, perché il cosiddetto “popolo” è un’entità variabile, volubile, multicolore, che tende a seguire chi si mostra più convincente, cedendogli di fatto il potere. Quindi una vera democrazia, nel senso di “potere del popolo” oggi non esiste, come non è esistita (se non in senso lato) neanche nell’Atene del V° secolo avanti Cristo.
Il post è già lungo ed è bene finire qui. Quel che volevo dimostrare con questo mio scritto è che le parole sono importanti, hanno un peso enorme nel dibattito ideologico ed anche nella mente del cittadino, che viene inevitabilmente influenzato da ciò che sente in TV o che legge sui social. Occorre perciò stare attenti a come si usa la terminologia, perché i significati (cioè i concetti) possono essere semplici o neutri, ma l’uso di determinati significanti (cioè le parole) possono rendere quei concetti complessi e faziosi, possono scatenare la rivalità e l’odio da cui il dibattito politico si dovrebbe liberare una volta per tutte, come avviene in altre parti del mondo. Dire a una persona “tu sei contrario all’immigrazione incontrollata” è ben diverso dal dirgli “tu sei un razzista”, perché la prima frase è aperta al confronto delle idee, la seconda è solo un insulto che non risolve nulla, anzi peggiora di molto le cose perché la violenza verbale ne richiama altra e instaura una contrapposizione frontale e una spirale di odio che rischia di non finire mai.

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La democrazia di Facebook

Come moltissime altre persone, anch’io circa un anno fa mi sono iscritto a Facebook, il più popolare e diffuso dei social network tanto di moda ai nostri tempi. Non l’ho fatto per particolari motivi, ma solo per corrispondere con alcune persone o gruppi che avessero interessi simili ai miei: la cultura classica, ad esempio, o la letteratura italiana e straniera. Mi sono anche iscritto alle pagine facebook di alcuni enti culturali o quotidiani come “Repubblica”, allo scopo di partecipare alle discussioni su determinati eventi o notizie del momento. In questo non trovo nulla di male, se non il fatto che il sottoscritto, essendo di carattere un po’ suscettibile o, come si dice in Toscana, “fumino”, rischiava e rischia di sollevare polemiche o di avere con qualcuno scambi di battute e commenti non proprio ispirati al massimo della cortesia. Il rischio di scontri verbali con altre persone (ad esempio i sostenitori del cosiddetto “Movimento cinque stelle”) c’era sicuramente; ma non mi aspettavo che vi fosse anche uno stretto controllo sulle opinioni altrui da parte dei supervisori del network stesso.
E invece mi è successo di essere sospeso per tre volte dal poter inviare commenti o contenuti di qualsiasi tipo sulla mia pagina perché, secondo i misteriosi censori di Facebook, avrei violato gli “standard della comunità”, che sono quelli da loro stabiliti e che non ammettono deroghe; in base a questo principio, piuttosto generico in verità, i moderatori possono sospendere o anche cacciare per sempre chi vogliono senza neanche dargli una spiegazione. In effetti è vero che ho espresso opinioni in contrasto con il “pensiero unico” o il “politically correct” come lo vogliamo chiamare; ma io pensavo, come ho sempre pensato, che nel nostro Paese ci fosse ancora la libertà di opinione (articolo 21 della Costituzione) e che tutte le opinioni siano esprimibili in democrazia, purché in base ad esse non si commettano reati. Questo è ciò che è successo: ho criticato in un commento la politica italiana dell’accoglienza indiscriminata dei migranti, che un paese gravato da debiti e in difficoltà per dare lavoro ai suoi cittadini non può permettersi; un’altra volta ho criticato le buffonesche esternazioni dei cosiddetti “gay pride”, dove gli omosessuali si agghindano come pagliacci e in questo modo ridicolo e volgare cercano di attirare l’attenzione sui loro diritti, che a mio parere hanno già ottenuto in abbondanza. Per questi commenti ed altri simili, che riflettono la mia mentalità ed il mio modo di pensare, sono stato sospeso da Facebook, prima per tre e poi per sette giorni, senza ulteriori spiegazioni; in pratica sono stato accusato di razzismo e di omofobia, cosa che avviene a tutti coloro che non sono pedestremente allineati col pensiero comune oggi dominante.
La cosa in sé non ha una grande importanza, intendiamoci bene: se per sette giorni non posso inviare commenti a Facebook, pazienza, sopravviverò; del resto sono vissuto 60 anni e più senza essere iscritto a quel network; ma ciò che mi rende furioso e mi preoccupa veramente è constatare come la libertà e la democrazia nel nostro Paese siano oggi in grave pericolo, allorché il pensiero unico alla Boldrini – la “presidenta” della Camera che preferisce gli immigrati agli italiani – si serve di strumenti coercitivi per chiudere la bocca ai dissidenti. Questo è grave, gravissimo, è un metodo che ben si adatterebbe all’Unione Sovietica di Stalin, non ad un paese libero e democratico. Già su questo blog ho messo in guardia più volte sui pericoli del “pensiero unico” citando alcuni disegni di legge (ad esempio quello del deputato Scalfarotto contro l'”omofobia”) che limitano la libertà di opinione e pretendono di chiudere la bocca con la forza a chi si oppone alla loro mentalità. Anche la censura di facebook è un esempio di questo metodo sovietico, perché chi “sgarra” o non si allinea alle idee dominanti viene bannato, senza spiegazioni e senza dare al “reo” la possibilità di difendersi. E’ vero, come dice qualcuno, che Facebook non è una piazza pubblica ma un network privato, e come tale ha delle regole. Benissimo, ma queste regole sono di parte e non rispondono ad alcun criterio di libertà e di pluralismo; e questo è fortemente pericoloso, perché mettere a tacere con la forza gli avversari è un sistema in uso durante i regimi dittatoriali del XX secolo, come quello staliniano tanto caro alla signora Boldrini o quello fascista, tanto per usare questa parola che tanto volentieri i signori della sinistra e i “politically correct” lanciano come un fulmine contro gli avversari. Viene quindi spontaneo sospettare che anche Facebook, come tante altre fonti di informazione (tv, quotidiani, siti web ecc.), sia in realtà manovrato da poteri occulti che mirano a livellare i cervelli delle persone togliendo loro tutto ciò che fa scomodo al potere del “pensiero unico” e impedendo loro di ragionare in modo autonomo e critico. Ed io, da questo piccolo blog che poche persone leggono (specie adesso d’estate) lancio un grido di allarme perché nel nostro Paese ci sia veramente la libertà di opinione, secondo quanto stabilisce la nostra Costituzione, e che ciascuno possa aderire a qualsiasi pensiero o ideologia in contrasto con la mentalità dominante senza sentirsi bollare con appellativi come omofobo, razzista, fascista o peggio ancora. I veri fascisti sono loro, quelli cioè che utilizzano i più svariati metodi, dalle leggi coercitive al bando su Facebook, per tappare la bocca ai dissidenti ed a tutte le persone che, invece di bersi passivamente ciò che dice la tv, intendono continuare a ragionare con la propria testa.

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Giustizia per Mauro Monciatti

Ricorre oggi esattamente un anno dalla morte di Mauro Monciatti, un importante funzionario dell’ambasciata italiana a Caracas (Venezuela) ucciso in circostanze mai chiarite, un evento sul quale la famiglia e gli amici stanno ancora aspettando che si faccia chiarezza e si sappia la verità. Io appresi la notizia da un giornale locale e ne restai molto colpito, soprattutto perché conoscevo Mauro dai tempi del liceo che avevamo frequentato insieme (lui aveva un anno più di me) e me lo ricordavo per averlo rincontrato dopo trent’anni circa, durante i quali egli aveva dimorato in varie capitali estere proprio in virtù della sua professione. Mi ricordo che mi disse di essersi sposato da poco e di avere due bambini ancora piccoli, e che la sua attività l’avrebbe portato a trasferirsi in Africa o forse in Sud America, cosa che purtroppo è avvenuta e gli è costata la vita.
Sulla morte di Mauro a Caracas ci sono molti sospetti, fatti propri dalla sua famiglia. Mentre le autorità locali hanno liquidato la circostanza dicendo (falsamente) che la morte era avvenuta per cause naturali, c’è chi ha sospettato che si sia trattato di un delitto maturato nel clima torbido della città venezuelana e forse voluto da chi voleva chiudere per sempre la bocca ad una persona che sapeva troppo; pare infatti che Mauro avesse denunciato, fin dal suo arrivo a Caracas, degli ammanchi di bilancio verificatisi nella stessa ambasciata italiana, sulla quale continuano a gravare i sospetti della famiglia e dell’intera comunità di Sinalunga (Siena), sua cittadina di origine dove di recente è stata organizzata una marcia pubblica in sua memoria. Ovviamente io non sono al corrente di come siano andate le cose e quindi non mi pronuncio; ma è veramente strano che, a un anno dalla morte, non si sia ancora fatta chiarezza sul delitto e si continui ad insabbiare e ostacolare le indagini.
Al di là del dolore per la morte di una degnissima persona, che io ho conosciuto e apprezzato, quello che mi viene da pensare è che in Italia ci siano sempre i soliti privilegiati e che sia la giustizia che la politica (ed anche la stampa) funzionino a due velocità: in certi casi si fanno ricerche a tutto tondo per stabilire la verità e si proclamano le notizie in TV e sui giornali, in altri casi cala dappertutto un silenzio omertoso su eventi di uguale rilevanza, che non s’intende perché debbano essere sottaciuti in questo modo. Noi tutti sappiamo quale rilievo è stato conferito al caso Regeni, il ricercatore italiano ucciso in Egitto. A me va bene che se ne sia parlato, che giornali e TV continuino ad occuparsene; ma perché non è stata fatta la stessa cosa per Mauro Monciatti, un diplomatico italiano ucciso a Caracas in circostanze misteriose la cui vicenda, con tutto il rispetto, non è certo meno importante di quella di Regeni? Invece sul caso Monciatti è calato il silenzio completo: la notizia della sua morte fu riportata solo dai giornali locali, mentre i TG nazionali la ignorarono completamente. Il Ministero degli Esteri, da me interpellato con una mail, mi rispose che stavano facendo indagini (quali?) e che non avevano alcun controllo sulla stampa. Quest’ultima affermazione mi risulta molto strana: un dicastero importante come gli Esteri, io credo, può ben dare rilievo a una notizia e farla trasmettere dagli organi di informazione. Qui invece tutto lascia pensare che vi sia stata la deliberata volontà di insabbiare l’evento, forse per proteggere qualcuno o per altro motivo che non voglio neanche ipotizzare. L’assassinio di un diplomatico italiano di un’ambasciata all’estero, oltretutto investito di compiti come la revisione del bilancio della sede diplomatica, non è una notizia da poco, considerato anche il fatto che la TV ci informa molto spesso anche su eventi sciocchi e del tutto fatui (vedi l’uscita di un nuovo album di Vasco Rossi, per esempio). Perché questo evento è stato insabbiato e non si è mai fatta giustizia, né verità, per il povero Mauro? Io vorrei saperlo, e credo che ne avrei il diritto, se siamo veramente in un Paese libero e democratico; ma credo che più di me ne avrebbero diritto la moglie, i figli, il fratello e gli altri parenti e amici che da un anno stanno inutilmente aspettando che qualcuno si occupi del loro caso. Questa non è giustizia né democrazia, e sempre più io ho l’impressione di trovarmi in un Paese ormai “pilotato” da certe lobby e certi gruppi che fanno il bello e il cattivo tempo ed usano TV e giornali come una volta si usavano il manganello e l’olio di ricino, cioè per chiudere la bocca ai dissidenti e diffondere il pensiero unico.

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Il pensiero unico colpisce ancora

Sulle pagine di questo modestissimo blog io ho l’abitudine di esprimere liberamente le mie idee… finché sarà possibile, dato che si sta affermando nel nostro Paese una forma strisciante di dittatura che cerca di schiacciare il dissenso e togliere la parola a tutti coloro che si oppongono al pensiero dominante. E’ un argomento che già più volte ho trattato, perché a mio giudizio dovremmo tutti prendere coscienza del fatto, gravissimo, che in Italia non è più garantita integralmente, come dovrebbe essere, la libertà di parola e di opinione sancita dall’art. 21 della nostra Costituzione repubblicana.
La questione emerge quando qualcuno tenta, anche sommessamente, di dissentire da certe idee prevalenti (ormai divenute dogmi intoccabili) che ci vengono trasmesse dalla TV e che vengono esternate anche da personaggi importanti, con alte cariche dello Stato come l’attuale presidente della Camera dei deputati, la sig.ra Boldrini. Secondo questo pensiero unico che si va diffondendo imponendosi con la forza e minacciando i dissidenti di sanzioni di vario tipo (anche penali!), occorre necessariamente essere d’accordo con il buonismo che consente l’accoglienza di centinaia di migliaia di stranieri che non solo vengono mantenuti negli alberghi quando esistono milioni di italiani sotto la soglia della povertà, ma che addirittura vengono incoraggiati a venire in Italia e persino prelevati dalle coste della Libia. E chi si azzarda a dire che questa invasione non è più tollerabile, che molti stranieri compiono azioni criminali nel nostro Paese, che in molte città italiane esistono quartieri non più vivibili per gli abitanti a causa degli extracomunitari e dei rom che rubano e sporcano tutto, che non possiamo accogliere tutti perché già abbiamo i nostri problemi, chiunque dice queste cose viene bollato subito con l’infamante etichetta di razzista quando non addirittura di nazista o peggio ancora. Lo stesso vale per chi non condivide l’ideologia gender oggi dominante che protegge i gay e le cosiddette “famiglie arcobaleno”, chi si dice contrario al matrimonio omosessuale e all’adozione di bambini da parte di queste persone. Qui si arriva addirittura ai provvedimenti disciplinari contro i dissidenti: è di questi giorni la notizia che un celebre psicanalista milanese, il dott. Giancarlo Ricci, persona del tutto rispettabile, con molte pubblicazioni al suo attivo e quarant’anni di esercizio della professione, è stato deferito all’ordine degli psicologi di Milano e rischia di essere sospeso dal servizio perché ha osato affermare che un bambino ha bisogno, per una crescita equilibrata, di avere al suo fianco la presenza costante di un padre e di una madre, cioè un uomo e una donna. E’ stato bollato di eresia per questo, ci rendiamo conto? Rischia la sospensione per aver detto la cosa più naturale del mondo, vale a dire che. visto che un figlio nasce da un uomo e da una donna, sono il padre e la madre (non l’idiozia del genitore 1 e genitore 2) a dover provvedere alla sua formazione. Che poi esistano anche famiglie dissestate o bambini che crescono con un solo genitore è un’altra questione; ma resta il fatto che l’unica famiglia naturale è quella tradizionale, se così vogliamo chiamarla. Le altre possono essere unioni affettive, ma non chiamiamole famiglie, e soprattutto non coinvolgiamo i bambini nelle scelte sessuali degli adulti.  Io sono convinto di questo e nessuno potrà mai farmi cambiare idea,  che ritengo di avere tutto il diritto di esprimere.
Eppure, in un Stato che si dice di diritto, chi si oppone alle lobby gay e ai sostenitori della teoria gender rischia grosso: il disegno di legge Scalfarotto (deputato gay del PD), giacente ancora in Parlamento, minaccia addirittura di mettere sotto processo e far condannare penalmente “per omofobia” chi osa esprimere una condanna o un’avversione all’omosessualità. E’ libertà questa? E’ garantito il diritto costituzionale di esprimere le proprie idee, anche quando sono diverse dal pensiero dominante? Stiamo ben attenti a questa dittatura strisciante, perché ci sono molti sistemi per opprimere il prossimo e schiacciare la dissidenza: una volta c’era l’olio di ricino, il confino, i campi di concentramento, i gulag, oggi ci sono la televisione e le leggi razziali, come io le chiamo perché trattano come “razza inferiore” chi ancora ha il coraggio di credere nell’identità del nostro Paese o nella famiglia tradizionale.
Un piccolo schiaffo dal pensiero unico l’ho ricevuto anch’io in questi giorni, benché vi abbia fatto poco caso. Su facebook, di recente, è uscita la notizia del licenziamento in tronco di due dipendenti della LIDL di Follonica (Grosseto), rei di aver combinato uno scherzo a due donne ROM rinchiudendole per qualche tempo (penso mezz’ora o poco più) nel gabbiotto dei rifiuti del magazzino. Apriti cielo! I due poveracci, accusati di razzismo e additati alla gogna pubblica per aver sequestrato per mezz’ora due zingare che erano lì a rubare, sono stati addirittura licenziati. Come diversi altri, anch’io ho manifestato con un commento il mio dissenso da questo provvedimento assurdo ed esagerato, anch’esso frutto certamente del pensiero unico dominante; il licenziamento, infatti, è avvenuto perché quelle due donne erano ROM, categoria evidentemente protetta dal boldrinismo attuale; se fossero state italiane, tutto si sarebbe risolto con una risata e sarebbe finito lì. Per questo mio commento, dove ricordavo che gli zingari hanno l’abitudine di rubare nei supermercati e altrove, sono stato “bannato” (così si dice con orribile termine di derivazione inglese) da facebook per tre giorni, durante i quali non ho potuto inserire altri commenti, ed alle mie rimostranze nessuno ha risposto. Si tratta certamente di una piccola cosa, che non mi danneggia e non mi tocca più di tanto; ma anche questo è indice inequivocabile della dittatura del pensiero unico, a cui bisogna per forza allinearsi come tanti soldatini messi in fila, altrimenti scattano prima la pubblica esecrazione e poi i provvedimenti punitivi veri e propri. Forza, continuiamo così: la caccia alle streghe (e agli stregoni) è cominciata!

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Un altro effetto del pensiero unico

Prendo spunto per questo articolo da un recentissimo fatto di cronaca, che riguarda il tema generale della libertà di opinione ma che ha suscitato in particolare il mio interesse perché coinvolge il mondo della scuola. Ieri 14 gennaio si è saputo che un’insegnante di inglese del liceo “Marco Polo” di Venezia è stata addirittura licenziata dall’autorità scolastica per alcune frasi razziste, contro gli immigrati e i musulmani, che aveva scritto sul suo profilo facebook. Qui, a quanto si è saputo, ella avrebbe auspicato la morte di tutti i migranti sui barconi e la necessità di bruciare vivi loro ed i loro figli; e sembra anche, come se non bastasse, che abbia scritto anche frasi offensive contro l’ex capo del governo Renzi, la presidente della Camera Boldrini ed altre perle di questo genere.
A scanso di equivoci di ogni sorta premetto e confermo che io non condivido affatto le affermazioni di questa collega, che non voglio giustificare in alcun modo e da cui mi dissocio totalmente. Il problema però, a mio avviso, è un altro, e cioè questo: è lecito licenziare una persona, cioè toglierle il lavoro ed in pratica emarginarla dalla società, soltanto perché ha espresso un’opinione? Io me lo chiedo e spero che qualcuno mandi commenti a questo mio scritto, perché il problema mi pare notevole e coinvolge non tanto il caso di una persona quanto il concetto stesso di democrazia che abbiamo nel nostro Paese. La nostra Costituzione, all’art. 21, sancisce la libertà di opinione, un principio sacrosanto che non si può circuire o vanificare come sta facendo oggi il pensiero unico che domina ormai, attraverso la televisione e gli altri organi di informazione. Ho detto altre volte cosa intendo quando parlo di pensiero unico: le idee dominanti nella nostra società, in base alle quali vengono diffusi principi di buonismo, di tolleranza, di uguaglianza sociale ecc., per cui è diventato praticamente obbligatorio essere d’accordo con l’accoglienza degli immigrati, con le nozze gay, con il prolificare nel nostro paese di religioni e culture diverse e spesso distanti dalle nostre. Chi si oppone a questo pensiero unico è immediatamente bollato con il marchio infamante di fascista, razzista, omofobo, egoista, cinico, un insieme di etichette dettate dal pregiudizio che tendono a mettere in cattiva luce, condannare moralmente ed isolare chiunque con si allinei con l’opinione che ci viene imposta dall’alto attraverso i media e i social oggi tanto in voga. E mentre fino a poco tempo fa questo processo di ghettizzazione avveniva solo a livello morale, attualmente si sta cercando di trasformarlo in una vera persecuzione sociale e persino giudiziaria: mi riferisco, ad esempio, alla legge che punisce penalmente il negazionismo sull’olocausto, o a quella contro l’omofobia che trasforma in un reato penale l’opinione di chi non gradisce i gay e le loro ostentazioni. L’esempio della professoressa licenziata perché contraria agli immigrati costituisce l’ultimo esempio di questo processo in atto.
A questo punto, per tornare all’argomento particolare dell’articolo, cerco di precisare un aspetto non irrilevante del problema. Nel provvedimento di licenziamento è detto che questa docente, con le sue frasi razziste, provocherebbe un danno al prestigio dell’istituzione scolastica. Non risulta però che questa persona abbia espresso idee di questo tipo durante le sue lezioni; le ha scritte sul suo profilo facebook, quindi al di fuori dell’ambiente di lavoro, e chi non vuole leggerle non è obbligato a farlo. Dov’è il danno all’istituzione scolastica? I suoi studenti hanno chiesto una conferenza stampa in cui, parlando un linguaggio che sa di vecchio sessantottismo (nominano il “collettivo” degli studenti ecc.) affermano che nella loro scuola il fascismo e il razzismo non debbono entrare; ma l’impressione che se ne ricava è che i ragazzi stessi siano stati condizionati da persone o messaggi della fazione opposta, o che comunque non abbiano neanche loro ben chiaro il concetto di democrazia. Sulla base dell’art. 21 della Costituzione il pensiero e le opinioni sono liberi e tali debbono restare: se cioè una persona si limita a esporre un suo pensiero – dovunque lo faccia – ma non commette alcun delitto, come può giustificarsi che, in base all’opinione prevalente, si ritorni al reato di opinione e si licenzi una persona per questi motivi? Questo è il vero atto fascista, proprio delle dittature come quelle di Hitler e di Stalin, allontanare ed emarginare una persona perché ha espresso una sua opinione non consona con quelle che la televisione ed i politici di quasi tutti gli schieramenti vogliono imporci. Diverso sarebbe se la docente in questione avesse metto in atto quelle sue idee, avesse cioè – paradossalmente – ucciso di persona quegli immigrati a cui augura la morte; allora sarebbe un’assassina e dovrebbe pagare il suo delitto per tutta la vita, ma se ha solo espresso un suo auspicio, per quanto assurdo e disumano esso sia, non può essere sottoposta ad un provvedimento così grave, a cui non si è mai ricorsi neanche per coloro che hanno commesso reati ben più gravi. Si può, anzi si deve dissociarsi da quelle idee, si può condannare moralmente la persona che le ha espresse, si può biasimarla, odiarla, detestarla; ma se nella nostra mente è ancora chiaro il concetto di democrazia e di pluralismo, di cui tanti si vantano senza neppure sapere cos’è, non è né lecito né giusto infliggere provvedimenti così pesanti solo per aver scritto quelle frasi e oltretutto in un contesto che è al di fuori dell’ambito scolastico. Non si è sempre detto, da parte di molti colleghi, che la vita privata di un insegnante deve essere separata da quella professionale? Mi ricordo il caso di una professoressa che, irreprensibile nel suo lavoro, alla sera frequentava locali equivoci e si esibiva in spettacoli osceni. In quel frangente ci fu un’alzata di scudi a favore di quella docente, sulla base del principio secondo cui, se uno fa bene il proprio lavoro, non deve rispondere a nessuno di ciò che fa nella vita privata. Se si crede in questo principio, allora non va condannata neanche la collega che ha scritto frasi razziste, perché non risulta che l’abbia fatto durante le ore di lezione o all’interno della scuola.
Ripeto che non ho alcuna intenzione di difendere il razzismo di questa collega, che non conosco ed al cui pensiero mi ritengo estraneo. Quel che mi preoccupa è che attualmente nella nostra Italia, con la scusa del progresso, dei diritti civili, dell’accoglienza ecc., si sia giunti non solo a denigrare chi la pensa diversamente ed è ancora fedele a certi valori attualmente in disuso, ma persino all’emarginazione ed alla persecuzione giudiziaria contro chi non si allinea con il pensiero unico. Su questa reintroduzione del reato di opinione occorre fare molta attenzione, perché proseguendo su questa strada il passo verso la dittatura e l’oppressione è breve, ed in parte è stato già compiuto. Ho detto altrove, e qui lo ripeto, che se Mussolini, Hitler e Stalin vivessero oggi non avrebbero bisogno di manganello, olio di ricino o gulag: basterebbe la televisione per distruggere ogni dissenso.

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