Genitori di ieri e di oggi

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Con evidente ironia e un po’ di esagerazione la vignetta mostra il radicale mutamento, nel corso degli ultimi decenni, dell’atteggiamento dei genitori nei riguardi dei loro figli da un lato e dei docenti dei loro figli dall’altro. Quando io andavo a scuola, primaria o secondaria che fosse, i miei genitori stavano sempre dalla parte dei professori, che andavano rispettati comunque in ragione della loro maggiore età e del loro ruolo di educatori; non solo, allora era molto forte anche il senso dell’autorità, per cui chi occupava un posto più elevato in una scala gerarchica andava sempre obbedito, anche se non era totalmente dalla parte della ragione. Così, se a scuola avevo un problema con qualche docente (e ne ho avuti anch’io, benché fossi diligente e studioso), per i miei genitori il professore aveva sempre ragione, ed ero io a dovermi sottomettere a chi stava più in alto di me: e se per caso io o un mio coetaneo avessimo preso un brutto voto o un provvedimento punitivo, il problema più grave era doverlo dire a casa, perché c’era il rischio concreto di vedersi dare il resto in famiglia, in forma di castighi di vario genere non esclusi quelli corporali.
Oggi, miracolosamente, tutto si rovesciato: se un alunno riceve un brutto voto, una nota disciplinare, un’osservazione da parte di un docente, ecco lì i genitori a fare i paladini, i sindacalisti del figlio. Arrivano subito, con aria minacciosa, e sono sempre pronti a scusare, a giustificare lo studente, anche quando è palesemente dalla parte del torto. Facciamo qualche esempio. L’alunno ha copiato il compito in classe, il professore ne ha le prove; ma il genitore ribatte: “Ma lei l’ha visto copiare? No? E allora non può far nulla.” Oppure: “Quella versione (ma guarda che coincidenza!) l’aveva fatta proprio la sera prima a lezione privata, perciò la ricordava.” E via di seguito con argomenti di questo tipo. Oppure si dà il caso che l’alunno abbia ricevuto una nota disciplinare per comportamento scorretto. Allora il genitore subito: “Ma è stato solo lui a fare questo o c’erano anche altri?”; “E’ sicuro lei che sia stato proprio mio figlio?”; “Perché non l’ha richiamato amichevolmente senza mettere la nota, che l’ha distrutto psicologicamente?”.
Oppure l’alunno ha preso un brutto voto. E il genitore allora: “Il compito che lei ha dato era troppo difficile”, oppure “Mio figlio studia tanto, perché non ha buoni voti?”, oppure: “L’anno scorso andava bene”, sottintendendo che, se quest’anno va male, la colpa è del professore che ha la classe adesso, mentre quelli degli anni precedenti sono insindacabili. Se poi in una classe ci sono molte insufficienze in una materia, allora non c’è dubbio alcuno, la colpa è dell’insegnante, è lui che ha fallito, non sa polarizzare l’interesse degli alunni, in una parola non sa fare il suo mestiere. A nessun genitore viene mai in mente che i risultati negativi potrebbero derivare dal poco impegno del figlio, dalla sua demotivazione allo studio o da reale mancanza di capacità mentali o attitudini per quel determinato corso di studi.
Nella mia scuola poi, che è un Liceo Classico, c’è un’altra accusa specifica lanciata dai genitori a noi docenti: di far studiare troppo i ragazzi, sobbarcarli di un eccessivo carico di lavoro. Anche qui mi viene in mente il paragone con quando io, tanti anni fa, frequentavo lo stesso liceo: i miei genitori, allora, erano ben contenti se avevo molto da studiare, perché sapevano (pur non essendo persone colte) che lo studio è formativo, che i cinque anni delle superiori non debbono essere un parcheggio ma un’autentica assimilazione di cultura, che non è mai troppa; anzi, si dispiacevano se qualche giorno avevo poco da fare e le vacanze, per loro, erano sempre troppo lunghe. Oggi è il contrario: la scuola è diventata, nella mentalità comune, una delle tante attività giovanili, da mettere più o meno sullo stesso piano della settimana bianca o dell’attività sportiva svolta dai ragazzi nel pomeriggio. La frequenza a scuola non è più un obbligo, tant’è che i genitori si portano spesso in viaggio i figli, durante il periodo scolastico, incuranti del fatto che li sottraggono per giorni e giorni alle lezioni. E noi docenti, per giunta, non dobbiamo far studiare troppo i teneri virgulti, perché altrimenti non hanno abbastanza tempo per andarsene in giro, per scambiarsi stupidaggini sui social network o per fare la meritata vacanza sulla neve. La cultura, che importa? Tanto c’è la vita che insegna, la scuola serve a poco. E poi, l’adolescenza viene una volta sola; perché rovinarla con lo studio?
Mi piacerebbe sapere chi e che cosa ha cambiato in questi decenni l’atteggiamento dei genitori, di cui si vedono tangibilmente le conseguenze: assistiamo infatti, oltre ad un sempre più difficile rapporto scuola-famiglia, ad una costante migrazione degli studenti verso scuole di bassa qualità, dove fioccano valutazioni stratosferiche ma la cultura è spesso un optional. In fondo è quello che vogliono: voti alti dei figli, per potersene vantare con gli amici, poco impegno allo studio e molto tempo libero per il divertimento, un altro degli idoli dei tempi moderni. Ma gli esiti di questa mentalità già si vedono in giro: ignoranza e maleducazione diffuse ovunque, persone che vivono in dipendenza dal cellulare, giovani che si rovinano con l’alcol o peggio ancora, e che hanno come modelli di vita le “veline” o i partecipanti al “Grande fratello”. Se questa è la civiltà attuale, sono felice di essere nato e di aver studiato in altri tempi.

17 commenti

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17 risposte a “Genitori di ieri e di oggi

  1. Nicola

    Amen, professore, condivido anche le virgole del suo discorso, perché pur essendo relativamente giovane (ho 32 anni) la penso esattamente come lei, quindi non aggiungo nulla, perché rischierei di ripetere cose già dette. Dico solo che, avendo appena cominciato la carriera di insegnante (precario e con mille dubbi ancora), le sue parole certo non invogliano a intraprendere questa strada e a restarci per i prossimi trent’anni! Il problema è che ormai i genitori stessi fanno parte di quelle generazioni per cui la scuola non vale nulla, ed è sempre più difficile combattere contro questa mentalità gretta, voglare, superficiale, consumistica… Pensa che ne valga la pena e soprattutto che noi professori possiamo fare qualcosa nel nostro piccolo?

    • Certo che ne vale la pena, perché la nostra professione è troppo importante per lasciarla nelle mani sbagliate. Ciò che conta è agire con coscienza e professionalità, non lasciandosi condizionare dalla mentalità volgare e superficiale di cui lei parla. Io ho a che fare spesso con genitori di quella risma, ma so anche tenerli a bada e continuare a svolgere serenamente e con equità il mio lavoro. Chi ha la coscienza tranquilla non deve aver paura di nulla. Perciò la invito a perseverare in questo mestiere, il quale le darà anche molte soddisfazioni. La scuola ha bisogno di insegnanti giovani e motivati, che per fortuna ci sono ancora.

  2. Rodolfo Funari

    Caro Massimo, come al solito sono pienamente d’accordo con quanto scrivi: ti ringrazio per questi tuoi articoli, soprattutto perché sono uno dei pochi esempi ormai rimasti di buon senso comune, di saggezza pratica, di probità di giudizio. Quanto bisogno ci sarebbe di tutto ciò, e quanto poco si trova in giro di queste buone qualità! Basterebbe forse che l’opinione pubblica tornasse, almeno in parte, sui binari di questa saggezza semplice, popolare, e già questo porterebbe con sé un certo miglioramento generale nello stato delle cose. Siamo tutti bravi a lamentarci: come nella parabola evangelica, vediamo bene la pagliuzza nell’occhio dell’altro, ma non ci rendiamo conto della trave che sta nel nostro … Genitori, cercate di capire che, se continuate a diseducare i vostri figli, soprattutto non abituandoli al rispetto dell’autorità, dei limiti e delle regole comuni, domani andrà sempre peggio, sempre peggio!
    Rodolfo

    • Ti ringrazio, Rodolfo, ma mi sembra che tu esageri un po’ quando dici che le mie osservazioni sono uno dei pochi esempi rimasti di buon senso comune: speriamo ce ne siano altri, e anche più giudiziosi di me, a denunciare uno stato di cose che va sempre peggiorando. Sempre più spesso si sentono notizie che parlano di insegnanti aggrediti verbalmente e persino fisicamente da genitori scontenti. Andiamo bene!

  3. Inutile dire che anche la mia vita di studente era all’insegna del patto di ferro genitori-insegnanti e che quello che capita oggi, invece, non finirà mai di stupirmi… Soprattutto, continuo a chiedermi a cosa serva realmente questo continuo giustificarli e rabbrividisco al pensiero di una società in mano a questi pargoli!

    • Su questo aspetto della vita scolastica, cara Monica, penso che possiamo dire “ai miei tempi era diverso”, benché tu sia molto più giovane di me (almeno credo). Da altri punti di vista non sarei così sicuro che la scuola di 30-40 anni fa fosse migliore di quella di oggi; ma da quello disciplinare, e soprattutto per quanto concerne i rapporti tra docenti e genitori, non credo si possano nutrire molti dubbi.

      • Credi bene, ne ho 39…anche per questo mi fa un po’ effetto dire “ai miei tempi”, ma la differenza tra il mio tempo da studente e gli studenti di oggi è siderale!!
        E naturalmente anche tra i genitori di oggi e di ieri…

  4. jacopo94

    Diciamo che si è passato da un estremo all’altro. Sono solidale con lei e tutto il corpo insegnanti, perché effettivamente spesso vi trovate genitori “difficili” (definiamoli così). E’ anche vero che, anni fa, non so se fosse effettivamente molto meglio. Era comunque un mondo molto più bigotto e intollerante, in cui l’autorità (come gli stessi docenti nell’ambito scolastico) aveva un potere eccessivo, in quanto rappresentava la ragione sempre e comunque. Sono infatti un po’ scettico quando sento molte persone rimpiangere in maniera assoluta la scuola degli anni 60/70, reputata impeccabile e perfetta sotto tutti i punti di vista.

  5. Caro Jacopo, il tuo commento è molto pertinente. Come ho scritto nella risposta a Monica qui sopra, neanche io sono sicuro che la scuola degli anni 60-70 fosse migliore di quella di oggi: i programmi erano stantii e spesso affidati a docenti poco competenti che non si aggiornavano mai, l’intrusione della politica nella scuola provocava contrasti violenti e spesso comprometteva la didattica anche pesantemente, l’autorità era obbedita in modo acritico anche quando aveva torto, come tu giustamente dici. Ma, per dar retta al buon Aristotele, in tutte le cose occorrerebbe il giusto mezzo; oggi invece siamo andati all’estremo opposto, con progetti e iniziative che tolgono troppo spazio alle lezioni, con l’imposizione di questi strumenti informatici che spesso non servono a nulla, e soprattutto con questa invadenza dei genitori che spesso si trasforma in mancato rispetto della professionalità e della dignità dei docenti. Io sarò presuntuoso, ma sono certo di saper fare bene il mio mestiere, e non permetto a nessuno di venirmelo ad insegnare, tanto meno a genitori arroganti e presuntuosi.

  6. Perchè è cambiato l’atteggiamento? Esprimo la mia opinione in merito: quando la società non attribuisce valore alla cultura, ma al denaro, quando il sogno dei giovani è fare la velina o il calciatore perchè (parole di un mio alunno) “tanto a che serve studiare… a me interessa fare i soldi, mica perdere tempo a studiare?”, come vuole che siano identificati i docenti? Colpa di chi ha instillato l’idea che per diventare importante servisse la raccomandazione e i soldi. Questi genitori sono molto spesso persone che non hanno faticato per un posto di lavoro e che pertanto disprezzano la cultura…tanto in fondo a che serve?

    • Purtroppo le cose vanno come vanno, però non dobbiamo generalizzare: non credo che tutti i giovani siano come quel suo alunno che le ha fatto quel bel discorso, sebbene ce ne siano molti che non credono più nel valore della cultura. Di questo però non possiamo incolpare i giovani, ma chi ha in mano le redini della società, e intendo non solo i politici o i potentati economici, ma anche i mass media: fin quando la televisione proporrà modelli come le veline e i calciatori, e farà passare l’idea per cui l’unica cosa che conta nella vita sono i beni materiali, non v’è speranza che qualcosa possa cambiare.

  7. nonseinegato

    Gentile collega, condivido quello che dici considerando anche che insegni in una scuola superiore che gli studenti sono liberissimi di non scegliere e che pertanto se scelgono il classico devono sapere fin dal principio che sarà loro richiesto un carico di studio notevole.
    Vorrei però fare un’osservazione sulla tua frase “Se poi in una classe ci sono molte insufficienze in una materia, allora non c’è dubbio alcuno, la colpa è dell’insegnante, è lui che ha fallito, non sa polarizzare l’interesse degli alunni, in una parola non sa fare il suo mestiere”. Naturalmente, soprattutto alle superiori, è possibile che ci siano molte insufficienze perché gli studenti non si impegnano (perché quella scuola è ritenuta ‘facile’ e gli studenti non si sentono in dovere di studiare) oppure perché arrivano alla scuola superiore senza avere le basi per affrontarla. Ma se un’intera classe ha difficoltà con una materia forse è effettivamente il caso di farsi qualche domanda magari non tanto sulla nostra competenza ma sul modo in cui stiamo trasmettendo. Io insegno matematica e scienze alle scuole medie, materie diverse in un contesto ovviamente diverso. […] Se tutta la classe o quasi va male in una materia posso concludere che a tutti mancano le basi o che tutti non studiano? Per me devo anche domandarmi se ho spiegato bene, se li ho incoraggiati adeguatamente a fare domande, se quello che mi aspetto da loro è coerente con quello che ho spiegato, se le mie valutazioni sono giuste o troppo severe…

    • In effetti hai ragione, perché se una classe è totalmente in difficoltà in una materia è giusto che il docente di quella materia si ponga degli interrogativi e cerchi di individuare il metodo migliore per ovviare al problema. Ma questo non significa che sia lui la causa della situazione, specie se ha preso la classe al terzo anno dopo che questa ha effettuato un biennio intero con altro docente. Ti faccio l’esempio mio. Io insegno latino e greco al triennio di un liceo classico, e ricevo quindi classi che hanno già svolto due anni di ginnasio, durante il quale avrebbero dovuto formarsi le basi delle due lingue classiche. Se con me hanno risultati scadenti nelle prove scritte, prima di addossare la colpa al sottoscritto i genitori dovrebbero chiedersi se veramente i due anni precedenti sono stati svolti nel modo migliore e se gli alunni hanno raggiunto le conoscenze che debbono possedere nel triennio. Invece di solito nessuno pensa alle responsabilità dei colleghi, ma solo a quelle del docente che attualmente insegna nella classe. Alla scuola media è diverso, perché di solito il docente segue la classe per l’intero percorso; ecco perché tu non ti sei trovato del tutto d’accordo con quello che ho scritto nel post.

      • nonseinegato

        Certo, se i risultati complessivi di una classe che hai appena preso sono scarsi è ovvio che la colpa non può essere attribuita a te. Per quanto riguarda me, se gli studenti arrivano in prima media con grosse difficoltà di calcolo non si può certo pensare che la colpa sia mia quindi capisco le difficoltà di cui parli.
        Il punto è, comunque, che se un’intera classe o quasi ha difficoltà molto probabilmente ad un certo punto c’è un insegnante (non necessariamente quello che segue la classe in quel momento) che dovrebbe chiedersi se per quella classe ha fatto del proprio meglio – può anche darsi che lo abbia fatto sempre, soprattutto nelle scuole superiori dove le lacune precedenti pesano moltissimo, ma farsi la domanda è d’obbligo.

  8. Certo che è d’obbligo porsi la domanda, ed è anche necessario cercare una soluzione, per il bene degli alunni e di tutta la scuola. Quando è capitato a me di prendere una classe con difficoltà di base, mi sono impegnato al massimo per colmare le lacune, intensificando l’attività di recupero e di esercizio continuo. Quello che non accetto, da parte dei genitori, sono le critiche immotivate o la richiesta, purtroppo frequente, di abbassare il livello didattico e di banalizzare i contenuti solo per far giungere alla sufficienza chi di suo non riesce ad arrivarci.

  9. Claudio Lanaro

    Leggo solo ora…e condivido ovviamente. Mi interesserebbe un dibattito sul perché si è arrivati a questa degenerazione in cui i genitori difendono i figli e accusano i professori…

    • Sarebbe un dibattito interessante, ma molto complesso e lungo da svolgere, perché le motivazioni sono tante. Personalmente penso che questa degenerazione sia cominciata con il nefasto movimento del ’68, che ha contestato e svilito il principio dell’autorità e ha tolto ai docenti ogni autorevolezza. Poi ci si sono messi altri fattori, di diversa provenienza, ed il risultato è quello che abbiamo sotto gli occhi.

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